Il lontano Sud nei racconti di Umberto Nardella 

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Alla condivisione della lettura come possibilità di viaggiare con la mente nel tempo – conoscendo luoghi, culture, tradizioni e quant’altro – occorre aggiungere che «Le idee che si acquistano con la lettura e nel contatto con la società sono il germe di quasi tutte le scoperte: è come un’aria che si respira senza accorgersene e che è necessaria per la vita» (d’Alembert). Se poi parliamo del passato è implicato necessariamente il coinvolgimento del ricordo, talmente importante da permettere di ‘vivere’ sequenziatamene una serie di vicende tanto da sembrare protagonisti della proustiana Recherche.

A rendere la narrazione meno buia ed enigmatica e a condividere idee e pensieri ‘eterni’ (applicati non tanto perché riguardano individui ma in quanto appartenenti alla specie umana) di un lontano Sud ci ha pensato Umberto Nardella con il recente volume Da un racconto all’altro [Edizioni NuovaPrhomos, Città di Castello-PG, 2023].

Dalla biografia dell’autore si evincono dati significativi ed utili per i contenuti dell’opera: originario di San Marco in Lamis (FG), studioso di hindi-urdi e professore emerito di Lingua e Letteratura hindi presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” con esperienze di viaggi in India e Pakistan e una serie di interessanti pubblicazioni.

Del Sud e, più in particolare, del suo paese di origine, preferisce parlarne con l’oggettività di chi abita quel tempo descritto senza formulare valutazioni, evitando di toccare l’oggettività dei valori, consapevole di quanto possa essere condizionata dal «realismo morale» di chi legge.

Ritornando al viaggio come metafora della nostra esistenza al lettore non resta che immergersi in una narrazione colma di una vita ricca e complicata con risvolti che fanno riflettere.

Il volume, corredato da una Prefazione di Claudio Santori, inizia con un ‘ricordo’: «Alla memoria del grande scrittore indopakistano Sa’adat Hasan Manto» e consiste sostanzialmente nella narrazione di due racconti. In entrambi l’autore non rinuncia ad alcune ‘contaminazioni’ di genere: per vari aspetti sembra di leggere un libretto d’opera seria. In Nardella troviamo la sostituzione dei personaggi mitologici ed epici con altri (un caso a parte è costituito, nel primo racconto, da Giorgio) che si caratterizzano per semplicità, schiettezza e cultura rudimentale e tuttavia riescono ad esprimere passioni e drammi umani. Trattasi di personaggi maschili e femminili che interpretano ruoli primari (protagonisti) o secondari (comprimari), capaci di essere funzionali ed indispensabili all’interno dello svolgimento delle trame e che, guidati dall’attenta regia dell’autore, restituiscono una realtà attraversata da tanta miseria e pur desiderosa di tanto amore nelle sue diverse sfaccettature.

Nel primo racconto (Papi Giò) la vicenda si svolge nella «casa rossa e un po’ gialla», una palazzina situata a Boiano (CB) di proprietà di Giorgio, giovane ricercatore presso la facoltà di architettura alla Federico II di Napoli. L’ironia della sorte vuole che pur avendo deciso, a causa del tradimento della sua fidanzata (Gloria), di rinunciare alle nozze sposi Filomena (finto matrimonio) per il solo fine di ottenere l’adozione della piccola Gioia, una bambina adorabile che egli conosce da quando lei aveva tre anni e che ama chiamarlo “Papi Giò”, e per una crudele sorte è rimasta orfana di entrambi i genitori. La bambina cresce, diventa medico e va a convivere con il fidanzato (Nicola). Ma quasi accomunata dalla stessa sorte di Giorgio la donna, delusa dal tradimento del fidanzato, decide di rientrare nella casa del padre portando nuovi elementi che traghettano il lettore a qualche sorpresa.

Il secondo racconto (Via Genova) vede protagonista “Zia Rosa”, un personaggio sui generis («la fornaia bevitrice») descritta dall’autore «lettrice attenta del libro della vita, benché analfabeta». La donna ama relazionarsi con generosità, sempre disponibile a risolvere varie situazioni. Diversamente dal primo racconto in cui Giorgio dedica la propria vita a Gioia grazie a «quel suo spiccato senso di paternità e maternità insieme» per zia Rosa il bene «fa bene principalmente a se stessi».

L’habitat ove si svolgono le storie è un quartiere di S. Marco in Lamis e tra i vari luoghi frequentati dai personaggi a fare da sfondo troviamo «la cantina di zi M’chèl» ove la passione per il vino si intreccia con quella umana. L’autore in questo contesto, non potendo svelare le fonti scritte per le vicende narrate, precisa che: «I personaggi di questo racconto […] per me non sono mai esistiti così come narrati, ma vivono nella mia mente […] come se fossero davvero vissuti [perché riferiti da] parenti anziani e dai vecchi del vicinato».

La dichiarazione – pur percepita come ‘avvertimento’ al lettore in realtà, tenendo conto dello spessore culturale dello studioso – si allinea a quella dell’indianista Grierson: «L’antico sistema indiano, nel quale la letteratura viene registrata non sulla carta ma nella memoria e trasmessa di generazione in generazione da maestri a scolari».

In sostanza Nardella sostituisce la trasmissione tra precettore e discepolo con persona anziana e giovane sottolineando altresì l’importanza di chi ci ha preceduto (spesso mediatori delle stesse storie, delle tradizioni, della cultura e autentici depositari della memoria storica) tanto che agli anziani si possa attribuire il ruolo di accessus ad auctores delle storie narrate oralmente. Proprio grazie a questo tipo di trasmissione le storie sopravvivono anche in assenza di inserti della memoria personale o di fronte a fatti che non corrispondono al vero.

Pur di fronte ad una lettura non priva di implicazioni, è preferibile predisporsi ad una percezione più caleidoscopica, sicuri di lasciarsi guidare da un autore dalla mente feconda e curiosa.

L’epilogo è rintracciabile all’interno de Il cimitero: nuova dimora di coloro che da vivi abitavano in via Genova e paraggi, ove si ricorda che «Il presente spazza via, un po’ alla volta, il passato».

In questo luogo il custode nota tutti i giorni Agnese (unico personaggio sopravvissuto) trattenersi davanti a due distinte tombe. Sulla prima c’ è scritto «Perdonami, Alessio»: rimorso nei confronti del marito e nell’altra «Grazie, zia Rosa»: espressione di gratitudine.

Ora finalmente Agnese, dopo una vita travagliata (fino a vivere l’esperienza della prostituzione), può trovare in questo luogo (Calvariae locus), il silenzio che le permette di fare pace con se stessa e trovare il coraggio e il desiderio di implorare: Corpus Christi, salva me.

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