“La Sagra del Signore della Nave” da Luigi Pirandello a Michele Lizzi. Dalla Novella all’Atto unico, all’Opera lirica

0
57

La Sagra del Signore della Nave da Luigi Pirandello a Michele Lizzi. Dalla Novella all’Atto unico, all’Opera lirica, è il titolo del libro scritto da Rita Capodicasa, agrigentina, pianista, musicologa, docente di Letteratura Italiana Contemporanea, e pubblicato nel 2020 da Edizioni Sinestesie.

Ma partiamo dall’inizio. La Sagra del Signore della Nave è una novella di Luigi Pirandello del 1916, andata in scena per la prima volta il 2 Aprile 1925 al Teatro Odescalchi di Roma, con la Compagnia del Teatro d’Arte al suo debutto, con Marta Abba come prima attrice e con la regia dello stesso Pirandello, che introdusse un innovativo espediente scenografico il “ponticello”, una passatoia rialzata che collegava il palcoscenico alla sala, consentendo agli spettatori di far parte della scena, e caratterizzata dalle didascalie, elementi narrativi che servivano quasi ad integrare le battute. L’Atto unico, porta in scena le contraddizioni insite nell’essere umano, ipocrisia, bestialità, primordialità, frammentata e mescolata con quell’umanità sporcata in nome del sacro rito. A farne la sua terza Opera Lirica, dopo Pantea e L’Amore di Galatea, portandola in scena in prima assoluta il 12 Marzo 1971 al Teatro Massimo di Palermo, fu il compositore Michele Lizzi, che seppe leggere in quelle voci, stridii, grugniti e berci, dei suoni e trasformarli in musica con sapiente maestria. Lo fece per amore per la propria terra, rispettando quei suoni folkloristici e popolari tipici della tradizione siciliana. La Sagra del Signore della Nave è, come lo stesso Pirandello ebbe a dire, un “affresco violentissimo”.

Ogni anno, la prima domenica di settembre partendo dall’antica chiesa campestre di San Nicola, dove era custodito il Crocifisso detto “Il Signore della Nave”, patrono dei marinai, si svolgeva una processione con tanto di banda musicale. Anche i maiali sfilavano lungo le strade di Girgenti sollevando la polvere, e andando incontro alla morte con i lori disperati stridii, che si mescola-vano alle urla dei venditori ambulanti e alle campane che ne mitigavano la sofferenza (ammesso che dalla gente del luogo fosse percepita come tale, perché a quei tempi “scannare” un maiale in mezzo alla strada, faceva parte della tradizione e della ritualità. Eccezion fatta per il signor Lavaccara, che cercherà invano di salvare il suo maiale, dopo averlo offerto in sacrificio per la festa). Le signore sfoggiavano i loro abiti più belli e si pregava, mangiava e soprattutto si beveva. “Sacro” e “profano” si mescolavano, trovando giustificazione l’uno nell’altro mediante la tradizione e il rito.

L’attenta disamina, che l’autrice Capodicasa realizza, così come lo stesso sottotitolo preannuncia, permette al lettore di comprendere in maniera più dettagliata tutti i vari aspetti. Dunque, si parte dalla novella, che lo stesso Pirandello nella nuova stesura per Opera Teatrale amplierà, che già manifesta tutto quel ricco impianto sonoro utile a Lizzi, che ne esalterà l’intreccio tra sacro e profano. La caratteristica distintiva del suo stile operistico è il recitativo drammatico, una sorta di declamato melodico. Egli riprende la tradizione modale e/o tonale italiana, appresa dai suoi maestri Pizzetti e Pilati, ma trae ispirazione anche dal Falstaff di Verdi e dalle sonorità (la scala pentatonica) utilizzate da Debussy, da Stravinsky e da Weill. La musica di Lizzi riempie di significato le parole rendendole fluide e legate, anche quando la parola cruda si spezza nel raccontare la bestialità del rito. Capodieci nel capitolo 5 del libro, analizza la partitura riportando parti della riduzione per Canto e Pianoforte edita dalla casa Editrice Curci di Milano. Si tratta di un’analisi musicologica dell’opera lirica puntuale, adatta a studiosi e specialisti del settore, ma interessante anche per il comune lettore, perché aiuta a comprendere la sensibilità, l’attenzione e il rispetto che il compositore Lizzi ha avuto nei confronti dell’autore Pirandello. Lo stesso che l’autrice ha dimostrato di avere per entrambi e per la loro terra, Agrigento.

(Pubblicata sul n.16 della Rivista “Letteratura e Pensiero”)