Accade sempre più raramente di iniziare un libro e restarne rapiti, al punto da non riuscire ad interromperne la lettura prima di aver raggiunto, con una punta di nostalgia, l’ultima pagina. Ancora più raramente accade ad un giurista, obbligato a confrontarsi con testi dal linguaggio tecnico, tomi dal colore grigio, in sintonia con il loro contenuto, che proiettano sul cuore pulsante della comunità sociale l’ombra fredda delle norme.
Il volume Pensieri di Enrico Mauro, (Guida Editori, 2023), si presenta con una copertina arancione e l’immagine di una campo di grano accarezzato dal vento, sullo sfondo di un cielo luminoso attraversato da nubi passeggere. Nulla suggerisce che si tratti di un testo giuridico, eppure lo è nel senso più profondo ed autentico, perché non proietta l’ombra del diritto sulla vita ma i molteplici colori della vita sul diritto. Probabilmente senza averne pienamente coscienza, l’Autore verifica la “tenuta” del diritto, nella sua più alta aspirazione, che è quella di tradursi in giustizia, rispetto ai tanti bisogni dell’uomo, alle sue più profonde fragilità.
In questo diario diffuso, che racconta per frammenti un’esistenza in cui ciascuno può rispecchiarsi, l’ordinamento giuridico compare in filigrana, a volte quasi impercettibile, a volte invece in rilievo, spesso intrecciato con la pressante richiesta di una risposta, di un intervento che restituisca giustizia, speranza, pace, libertà. Enrico Mauro conduce da anni una battaglia accorata contro il sistema meritocratico, cui ha dedicato il libro Contro la società del sorpasso. Il pensiero antimeritocratico di Don Tonino Bello, edito dalla casa editrice San Paolo praticamente in contemporanea con i Pensieri, e ancor prima I pesci e il pavone. Contro la valutazione meritocratica della ricerca scientifica, pubblicato da Mimesis nel 2017. Il senso profondo della sua riflessione, è la critica radicale della ideologia meritocratica, che si traduce in una “legittimazione etica delle disuguaglianze”, come ha efficacemente dichiarato il Pontefice, poiché fissa criteri di valutazione del merito rappresentati come “oggettivi”, quando invece non sono che espressione di categorie valoriali imposte da gruppi di soggetti privilegiati per consolidare la propria posizione. Quando il diritto viene strumentalizzato dalla meritocrazia, diventa indifferente ad alcune sfumature dell’esistenza umana, diventa un diritto selettivo, anzi esclusivo: non c’è spazio per la debolezza, per la fragilità, per il bisogno. Ed ecco che tutto ciò che fuoriesce dallo spettro dei “colori” ritenuti “meritevoli” diventa scarto, essenzialmente inutile: “meritocrazia significa rimozione dei deboli che intralciano la via dei forti”, osserva l’Autore, a dispetto della “solidarietà”, valore costituzionalmente tutelato, che invece impone la rimozione degli ostacoli che intralciano la via dei deboli. Il tessuto connettivo del testo è sorprendentemente evangelico, a dispetto dell’ateismo professato dall’Autore, e mette a nudo l’inadeguatezza dell’ordinamento giuridico, contaminato da una ideologia competitiva che non trova corrispondenza nei valori fondamentali della Costituzione, rispetto ai bisogni di pace, libertà, uguaglianza espressi dalle persone, siano esse cittadini o migranti, sani o malati, uomini o donne, figli o “figlioli prodighi”.
Recensione a cura di Maurizia Pierri