Tutto presenta il suo opposto: luce e oscurità, gioia e dolore, amore e odio, ma è così anche per la nostra ragione? Questa trova il suo contraltare nella follia? Oppure ragione e follia sono esse stesse parte di un sistema, che plasma il proprio modus vivendi attraverso una storia vissuta solo ed esclusivamente dal soggetto?
Questo tema accompagna l’uomo da tempi molto antichi (basti pensare che Platone nel dialogo Fedro sostiene – per bocca di Socrate – che «i beni più grandi vengono a noi attraverso la follia» e la considera il risultato dell’enthousiasmos, dell’avere dio dentro di sé) e si è sviluppato nel corso dei secoli attraverso dinamiche sociali e culturali ben definite.
Presso i Greci la follia era antropomorfizzata dalla dea Manìa, da essere divino che giocava un ruolo fondamentale nelle passioni umane – con la rilettura in chiave cristiano/giudaica della filosofia ellenica – la si è relegata ad un fenomeno demoniaco, con tutte le conseguenze che ciò comportava: dalla caccia alle streghe fino ad arrivare – per citarne alcuni – all’emarginazione sociale di omosessuali e uomini di scienza.
È solo nell’Ottocento, grazie ai primi studi psicanalitici che, da fattore “mistico”, si è potuta studiarla in chiave medica grazie Freud e i suoi Studi sull’isteria.
Medicalizzare la follia non scongiura però la tendenza a usare l’etichetta di pazzia non solo come marchio per persone che presentano patologie, ma anche per coloro il cui comportamento sfugge ai canoni sociali e culturali. E’ il XX secolo che ridà dignità ad una componente umana fondamentale, grazie agli straordinari risultati della psicanalisi e dell’arte: dalla filosofia al cinema, dalla musica alla letteratura gli esempi sono tantissimi.
Una perfetta storia di questa evoluzione la si può trovare nell’opera Storia della follia nell’età classica di M. Foucault; la prefazione sul concetto di tragedia in Nietzsche è solo il preambolo a un dettagliatissimo resoconto storico – e non solo – delle dinamiche che hanno fatto evolvere questo concetto così come lo conosciamo ai giorni nostri. Ancora, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sack, libro che si presenta come una serie di casi clinici in cui, in ognuno di essi, il soggetto ha perso qualcosa di costitutivo del sé; Follia di Patrick McGrath un romanzo psicologico cronaca di una storia di ossessione sessuale narrata dal punto di vista di uno psichiatra, nel 2005 dal romanzo è stato tratto un film omonimo, con la regia di David Mackenzie. Continuando sul filone cinematografico non ci si può esimere dal consigliare Qualcuno volò sul nido del cuculo film del 1975 diretto da Miloš Forman con uno straordinario Jack Nicholson nella parte di un pregiudicato che si fa internare in una clinica per sfuggire ai suoi guai maggiori. Film dalle molteplici letture: la clinica stessa, infatti, può essere il mondo e la linea che divide i sani dai pazzi non è poi così chiara. In fondo, chi ha gli strumenti per tracciarla?