Il Primo Maggio ai tempi della crisi

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Primo MaggioLa domanda da porsi in questo periodo che, più che un periodo, sembra ormai un’era geologica, è quella di chiedersi se vi è una buona ragione per guardare con obiettività ad un senso da dare alla festa del Primo Maggio.
Occorrerebbe, forse, partire inquadrando in maniera diversificata il concetto di lavoro

Già nel 1776, il filosofo Adam Smith ci riferiva che il lavoro annuale di ogni nazione è il fondo che le fornisce in origine ciò che consuma. Beni e servizi, siano essi necessari per la sopravvivenza o semplicemente per renderla più confortevole, sono, in  economia politica, ugualmente prodotto del lavoro. Ciò che abbiamo, e ciò che consumiamo, lo dobbiamo al nostro lavoro o a quello di qualcun altro.

Se le cose stanno così – e solo una frequentazione eccessiva delle realtà virtuali potrebbe portare un osservatore in buona fede ad escluderlo – non è affatto fuori luogo considerare il lavorare un’attività centrale per la sopravvivenza di una società.

Il cristianesimo ci ha poi insegnato che il lavoro è un’attività umana che tocca non soltanto i fattori di forza, ma anche deve abbracciare i valori spirituali ed intellettuali, in altre parole tutta la personalità umana.
Una società tanto sarà perfetta quanto più consentirà a ciascuno di concorrere all’edificazione del bene comune secondo le proprie capacità ed aspirazioni. E non si parla soltanto di offrire un contributo materiale, quanto investire anche sul piano della edificazione spirituale. È solo attraverso questo senso di solidarietà e di fratellanza umana che ci accomuna tutti indistintamente al di fuori dei continenti e delle razze, che potremo costruire nella società odierna una vera pace universale, oggi molto necessaria.

Marx, nel “Capitale” descrive il lavoro come  “l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere”.

Oggi in un momento di crisi profonda non esiste un valore univoco da dare a questa ricorrenza;  per il cristiano, il lavoro diventa un mezzo ed uno strumento di espressione di solidarietà umana. Ciò che costituisce l’essenzialità del lavoro, è il contributo di conoscenza, di responsabilità che ogni lavoratore, anche il più umile, dà al mantenimento di un ordinamento sociale ed allo sviluppo della società stessa. Anche se, osservando ed analizzando con attenzione i dati in aumento sulla disoccupazione, tutto questo non può che essere accompagnato da una desolante sensazione di apprensione.

Per l’operaio il Primo Maggio è un importante appuntamento per sentirsi ancora protagonista di una classe che ha diritto di cittadinanza nella vita politica e sociale del Paese, per riaffermare i diritti acquisiti, (di cui in realtà ben poco è rimasto).

Il concetto di lavoro così come lo abbiamo conosciuto e maturato negli anni, ha subito una radicale trasformazione, conferendo al termine “lavoratore” un significato che abbraccia un ampio spettro – a tratti pure indistinto – di attività professionali e che va dall’operaio al professionista, palesando un’obiettiva esigenza di cambiamento sia nelle forze produttive (lavoratori e datori di lavoro), sia negli uomini deputati a governare ed indirizzare questo particolare momento di transizione.

Per queste e per molte altre ragioni, occorre difendere senza alcun cedimento il mantenimento di giornate festive come quella di oggi, che contribuiscono da sempre a formare il tessuto connettivo morale e civile del Paese. 

Il senso da dare al Primo Maggio, a nostro modesto avviso, risiede, dunque, solo e soltanto in questo: non lasciarci rubare la speranza, profondendo insieme un maggiore impegno nel concorrere al bene comune perché questa ricorrenza sia realmente un giorno da vivere da protagonisti e non un mero evento di chi fa memoria di un giorno in cui il lavoro lo aveva ed oggi lo ricorda, o ancor peggio, lo sogna ad occhi aperti. 

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