L’ipocrisia e il pregiudizio

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alcol giovaniSono un uomo di 42 anni che ama la solitudine dopo una vita spesa in mezzo alla gente, per la gente e con la gente. In queste ore si sono verificati fattacci che hanno visto protagonisti ragazzi e ragazzini che, per divertirsi, hanno esagerato, e l’hanno fatto più o meno come lo facevo io alla loro età, come lo facevamo tutti  oppure quasi tutti così, nessuno rimane male perché, e chissà perché, tutti i 40enni di oggi hanno dimenticato chi erano e cosa facevano per sentirsi ribelli e speciali o forse solo un po’ più grandi negli ultimi anni ’80 e negli anni ’90.

E già, chi oggi chiama “bimbiminchia” i ragazzi che esagerano ha dimenticato cosa combinava la sua generazione. Ed è un peccato che durante il  lungo percorso della vita ci si dimentichi di essere nati tutti allo stesso modo e allo stesso modo siamo stati tormentati dall’idea di non essere all’altezza degli amici più “in” o meglio, come si dice nel Salento, più “spierti”. 

Insomma stiamo soffrendo tutti di una particolare sindrome che causa perdita di memoria e ci innalza su piedistalli e pulpiti dai quali poter “gracchiare” e giudicare?

Dunque mi domando e dico: chi era che faceva la fila per comprare 5 mila lire di “fumo” o per bere un Campari e Gin nei bar, e nei pressi dei bar dei nostri piccoli paesi oppure in città? E abbiamo dimenticato quanti amici e conoscenti abbiamo perso per l’eroina? 

Quanti, ai nostri tempi, sono morti per incidenti stradali a causa della velocità o di un bicchiere di troppo… e così sarà per sempre. Non si può capovolgere il caso, il fato… Il destino ci prende in giro ricordandoci che siamo sempre noi gli artefici, ed è proprio lì il problema: noi siamo artefici matti di quello che ci accadrà, ma fino a quando non ci accade, ci sentiamo onnipotenti.

Prima non esistevano i social e le persone amiche si stringevano attorno ai drammi che colpivano le famiglie. Ora no, ora si giudicano sempre gli altri, perché son sempre gli altri e mai noi. Ora siamo ipocriti e facciamo del pregiudizio il nostro compagno di viaggio.

Io ne ho combinate di tutti i colori eppure mio padre si svegliava di notte, lavorava come ambulante dodici ore al giorno per non farmi mancare nulla e nulla mi mancava, ma io volevo altro, io volevo tutto; e mia madre, per seguirmi ha perso anni di vita, ha lottato per educarmi, rieducarmi, riprendermi e forse, chissà, qualche volta ha anche pensato di ammazzarmi per l’esasperazione. Noi eravamo una famiglia semplice, io ero educato bene eppure “strafacevo” perché volevo farlo.
Li ho imbrogliati tante volte. A 15 anni, ad esempio, presi il treno perché volevo conoscere Bologna, e lo feci senza dire niente, andai a vedere il Motor Show; ero astemio, come lo sono tutt’ora, ma bevvi qualche birra perché gli altri lo facevano, ero un “bimbominchia” che voleva crescere in fretta e non capiva nemmeno dove si trovasse.

Se avessi avuto qualche patologia a me sconosciuta forse sarei morto, forse sarei tornato a casa in una cassa di legno e non per colpa dei miei genitori ma per colpa mia e della mia strana voglia di conoscere il mondo… E così via. Questa è la più lecita delle mie bravate e l’ho scritta così di getto, ma tanto altro ho combinato io, e tanto altro ancora hanno combinato i vostri figli, i miei amici, ed i figli dei miei amici. Forse, se fossi svenuto ubriaco a causa di quelle “DU DEMON” avrebbero chiamato l’ambulanza. Perché è normale che le risorse siano impiegate anche per “recuperare” i nostri figli dalle loro bravate. Non per questo sono dei coglioni, non per questo non li sappiamo educare, non per questo bisogna predicare senza battersi una mano sul petto e capire che siamo tutti maledettamente uguali e tutti colpevoli.

Ora forse dovremmo fermarci tutti insieme e riflettere. Se prendessimo i dati dei morti per overdose degli anni passati e quelli delle droghe sintetiche di oggi, cosa scopriremmo? Forse dovremmo riflettere e contare nei centri contro l’alcolismo i numeri di ieri e di oggi. Sono certo che sono lì a giocarsela fino all’ultima “bottiglia”.

Questo non significa che non si possa migliorare, non significa che le generazioni future non possano essere più pulite di quelle di ieri e di oggi. Si può cambiare ma incominciamo a farlo dalla nostra coscienza, iniziamo a raccontarci la verità, perché vivendo nell’illusione che capita sempre agli altri, un giorno potrà capitarci qualcosa di sconvolgente. 

Siamo tutti padri e madri non di “bimbiminchia” e coglioni, ma di ragazzi che vogliono esagerare e lo faranno comunque, con noi e senza di noi. E impariamo a rispettare il dolore altrui senza sentirci migliori. Un po’ di umana compassione sarebbe come uno schizzo variopinto su una tela completamente nera. Pensiamoci. 

Non dovremmo esprimere giudizi ma aprire tavoli di lavoro, parlare, ascoltare, raccontare. Il mondo ha bisogno di amore, pensiero e compassione ma queste non le spaccia nessuno e quindi non sono appetibili. E ricordiamoci che se la società non ci avesse dato una seconda possibilità ora non saremmo qui, io a raccontarla e voi a leggerla.