Mi capita a volte di pensare alla morte, la mia. Non entro negli infiniti, possibili, terrificanti scenari del trapasso perché non è di quelli che voglio parlare, ma di veglia funebre. Immagino la bara messa al centro del salone di casa, ed io agghindata per l’appuntamento con l’eterno. Ve lo confesso: ho avvisato mio marito, i miei figli, la mia famiglia di non farlo, quando accadrà.
Di non mettermi lì esposta agli sguardi più o meno dispiaciuti di chi verrà a piangere con sincero affetto o a godersi lo spettacolo, perché, diciamolo, in ogni caso di spettacolo si tratta. Di violazione della più sacra intimità.
Spesso mi è capitato, durante i funerali, di essere attenta a sguardi, espressioni, chiacchiere da cortile di gente che, riferendosi ad un defunto, commentava con gesti o parole. Guarda quanto si è gonfiato, sembra che stia dormendo, ha un’espressione pacifica, mamma mia, non sembra lui … e via dicendo, in una relazione aleatoria, di bassa lega, ma precisa quanto il meccanismo di un orologio svizzero.
No, per carità, io vorrei che tutto questo non andasse aggiunto alla sofferenza dei miei cari e alla dignità che ha accompagnato la mia vita.
Caso chiuso, insieme alla bara.
Comprendo che guardare la morte altrui possa in qualche modo ‘insegnarcela’, aiutarci a metabolizzarla e a farcene una ragione, ma la mia non sarà sul mercato della morbosa psicologia da quattro soldi di quattro conoscenti trasformatisi improvvisamente in amici intimi.
Penso adesso alle immagini dei migranti morti. Asfissiati su un camion, annegati nell’azzurro mare d’agosto o in quello gelido di gennaio quando la tramontana invita a intraprendere il ‘viaggio della vita’. Corpi ammassati gli uni sugli altri, in una posa mai stata soggetta a prove. Le braccia pendule, le teste chine, compagni di morte arrivata con calma, raggiunta con un contagocce arido, e neppure la possibilità di rubare qualcosa al proprio fratello, o di donare un respiro al proprio figlio. L’unica respirazione bocca a bocca possibile è stata quella di un ultimo bacio.
Mica roba da poco in un mondo privo d’amore! E così la morte diventa un quadro da galleria d’arte poverissima, la nostra. E si aggiunge ad altre foto, diverse nella forma ma identiche nella sostanza. Manichini galleggianti. Bamboline col pannolino ancora ben stretto in vita, povere madri! Povere bimbe! Donne spiaggiate come delfini avvelenati (poveri delfini!), e ritrovate con un telefonino stretto al cuore, unico strumento che forse pensavano potesse rappresentare una garanzia di sicurezza, durante un’amara traversata dagli esiti incerti. Visi scolpiti nella sabbia penetrata dalle narici fin dentro i polmoni e negli occhi, che non vedranno e non sentiranno mai più l’odore di tramonti rosso fuoco. Perché i tramonti hanno anche ‘odore’ di casa, per chi è costretto a separarsene.
Quando le tragedie umane si elencano con i grandi numeri perdono importanza. Si accettano, si trasformano in abituale conta astratta, la morte diventa evento da annotare in un angolo della mente e lì lasciar evaporare, tanto che posso farci io? Non è mica colpa mia!
Poi vedi una foto, e immediatamente riemerge l’essere umano che è in te. In quei corpi ci vedi il tuo bambino, tanto che ti scatta un riflesso incondizionato, vai nella sua stanzetta colorata e ti accerti che sia lì, che nessun incantesimo lo abbia portato via. Tiri un sospiro di sollievo, è tutto al suo posto, torni al computer e le guardi nei dettagli, quelle foto terribili, e magari piangi, ti disperi e pensi che no, non è giusto, non era questa la vita che sognavi quando, ragazzo tra i ragazzi, tu parlavi dei sogni collettivi e al primo posto ci mettevi la pace nel mondo.
Dove sono finiti quei sogni, e dove noi? A chi e perché abbiamo permesso che ci venissero rubati e sostituiti col vuoto? Domande senza risposta. Ma tu in definitiva che cosa puoi fare per fermare quel massacro? Vai oltre quelle foto che si trasformeranno in bare senza nome, con rispetto decidi che no, non hai bisogno di guardarle ancora, ma che magari a qualcuno è servito vedere, per rendersi conto di che cosa voglia dire respingere, o augurare a chi fugge da fame e guerre di restare in casa propria, immaginando una dimora povera ma dignitosa e non dilaniata come invece realmente è, se c’è ancora. Probabilmente è servito per non cadere nei miserabili trabocchetti di certi politicanti da circo di periferia che si fanno forza della nostra pigrizia mentale (eufemismo) per arruolarci in eserciti dalla potentissima forza che nasce dall’ignoranza. Poca roba, comunque.
E allora? Che posso fare io? In questi anni ho votato a destra, a sinistra, al centro, alle estremità, sopra, sotto, avanti e indietro, si dice il padre inebetito e mortificato. Tutto e il contrario di tutto. Molte chiacchiere, qualche buona idea, parecchi sogni infranti. Il Dio denaro è un Dio potente (ed è quello che genera morte, lo sappiamo, anche se cambia nome a seconda delle circostanze e degli attori), che ha tra i suoi fans gente molto subdola, preparata e forte. Connivenze insolubili. Apparati cancerosi inguaribili. Sistemi fagocitanti e invincibili con le armi. Sembrano ormai ben fissati in una solida alleanza di spartizione della torta mondiale. Il padre del bambino che dorme nella stanza colorata sa tutto questo, ma non ha ricette, anzi brancola nell’impotenza. Non è un politico e non lo sarà mai. Forse alle prossime consultazioni elettorali annullerà la sua scheda, forse la lascerà bianca, non crede più a niente. Poi pensa una cosa assurda. Pensa che quelle foto così crude e devastanti dovrebbero essere esposte nelle scuole, nei parlamenti, per le strade. Che nessuno dimentichi, che tutti si indignino, se siamo ancora uomini. Pensa di scrivere un mega striscione da apporre sulle spiagge d’Italia per chi, tra i migranti, su quelle sponde dovesse miracolosamente approdare. ‘Noi siamo con voi, noi siamo vittime come voi!’.
Pensa un sacco di cose stupide, lo sa, il padre sognatore. Poi spegne il computer, va a dare un ultimo sguardo al suo bambino che dorme nella stanza colorata e gli promette che gli insegnerà a non arrendersi mai, e ad amare non solo sé stesso. Forse non basterà a salvare il mondo, bambino mio, e non è affatto detto, ma di certo non ti renderà mai complice di morti innocenti. E poi, chissà …