Nel rosario infinito delle ricorrenze che cadenzano la nostra vita, l’8 marzo recita: festa della Donna. Se avessimo voglia di metterci seduti su una panchina ad ascoltare il mondo che racconta come nasce questa festa, forse ci faremmo delle domande diverse dal chiederci in quale locale andare a festeggiare con le amiche. Forse. L’origine culturale della Giornata Internazionale della Donna si fa risalire alla II Internazionale Socialista, mossa dalla questione della lotta per il suffragio universale della donna.
La prima giornata si svolse negli Stati Uniti nel 1908, mentre in Italia si celebrò nel 1922 su iniziativa del Partito Comunista. Quindi ha avuto inizialmente una connotazione politica, anche se c’è chi la fa risalire al rogo della fabbrica di Cotton, New York, nel 1908 dove morirono centinaia di operaie. Un appuntamento che ad ogni modo riguarda le donne, le loro battaglie, le loro conquiste, le loro aspettative e certamente una presa d’atto sullo stato di situazioni che se da molti punti di vista hanno portato al raggiungimento di grandi traguardi, da altri si ritrovano al punto di partenza. Se non peggio. L’uguaglianza di genere è un obbiettivo in molti casi raggiunto, ma spesso solo formalmente. La violenza sulle donne è cronaca giornaliera in ogni parte del mondo. Solo in Italia nel 2013 sono state uccise 128 donne per lo più per mano di mariti o ex gelosi, respinti, deviati. Il senso atavico del possesso così duro ad essere scardinato dalle coscienze maschili, gli strascichi di un’educazione maschilista che procede talvolta al contrario, arcaiche dipendenze, insicurezze che regolano, male, i rapporti interpersonali; la stessa politica che autoesaltandosi finge grandi vittorie (basti guardare il nostro attuale Governo, che con una mano posiziona per metà nel nuovo assetto ministri donne, e con l’altra taglia servizi essenziali come il sostegno alla maternità). Un sistema che appare compiacente e troppo spesso asservito a forze mediatiche neppure tanto sommerse. Tutto concorre a portare caos in una condizione che non ha ancora perduto del tutto gli antichi confini.
Ma in un giorno come questo non vogliamo fare spicciola sociologia perché in fondo basta guardare i dati di cronaca per avere l’esatta contezza del fenomeno, né ci sentiremmo di predicare da comodi altari. Ci piace invece ricordare la battaglia di dignità che sta sostenendo oggi una grande Donna. Lucia Annibali, avvocato trensaseienne di Pesaro, sfigurata nel viso e nell’anima lo scorso 16 aprile da due delinquenti pagati da un collega con cui aveva avuto una breve relazione. Lucia ha perduto il suo viso, è stata sottoposta a numerosi interventi di chirurgia plastica e molti altri ne vivrà nel suo cammino. Che, se vogliamo, sono l’esperienza meno devastante. L’anima non sono riusciti ad annientarla. E neppure il coraggio e la dignità. Lucia ha rialzato con fierezza lo sguardo, sta partecipando alle udienze del processo contro i suoi attentatori. Incontra le donne, gli amici, i giornalisti, le telecamere. Ci mette la faccia. Ed incontra sé stessa. Lo specchio rimanda un’immagine in cui lei torna a riconoscersi. Anche se non è difficile immaginare quanto le siano costati tutti i passi fin qui percorsi. La solitudine, il dolore, la rabbia. Lucia ha già vinto. La festa della Donna per noi, quest’anno, porta il suo nome.