Il 20 gennaio del 2014, cinque anni fa, moriva Claudio Abbado e quasi come un refrain – soprattutto per chi lo ha conosciuto – ritorna la tristezza e il senso di smarrimento. Manca alla musica, alla cultura e al mondo civile.
La memoria e il lascito del grandissimo interprete, oltre a lenire la sua dipartita, possono diventare mezzi per sentirlo sempre tra noi e/o addirittura trasformarlo in un personaggio fuori dal tempo, tanto da elevarlo «Per la propria virtù che la soblima».
Se accettiamo l’affascinante idea di Umberto Eco, secondo cui «La lettura è un’immortalità all’indietro», possiamo affermare che la “lettura” sconfinata di molti repertori e generi musicali ha permesso al maestro di vivere molte esistenze.
La sua anima, la sua intelligenza e la sua sensibilità è stata in sintonia con quella dei compositori, con le storie in cui sono state ambientate le opere, i luoghi, i personaggi e con il mondo spirituale, umano e poetico.
Dotato di una straordinaria capacità di decodificare ed indagare ogni singola partitura si è rivelato un raffinato filologo, ricostruendo e restituendo opere del passato poco eseguite oltre a tenere a battesimo molte prime della musica contemporanea.
Leggendo la biografia, interviste, ecc. colpisce la sua leggerezza oscillante tra la delicatezza e l’impalpabile che, come ricorda qualcuno, somiglia alla «leggerezza mozartiana». Incline all’ascolto ha insegnato a tutti il suo valore, non solo per conoscere e comprendere, come rispetto per gli altri.
L’esperienza giovanile di docente di Musica da Camera al Conservatorio di Parma gli ha fatto toccare con mano quanto l’«amabile conversazione» tra più individui (Goethe) sia importante per suonare bene insieme e vivere nel rispetto dei valori fondanti della civiltà.
Come accade con la valorizzazione della ricchezza per le altre culture, allo stesso modo la diversità degli strumenti e dei musicisti ha costituito la sua orchestra ideale. All’individualismo imperante della società Abbado ha saputo opporre il collettivismo, operazione non facile, vista la crisi dilagante del senso di appartenenza ad una comunità. Ha realizzato questo obbiettivo perché capace di guardare oltre gli steccati, formando orchestre giovanili di musicisti da diversi paesi. Protagonista nell’era della globalizzazione, la sua vita artistica somiglia, in parte, al famoso Das Lied von der Erde mahleriano avendo avuto, tra i pochi, la possibilità di percorrerne il lungo viaggio onirico. Ricordando il suo gesto, a tratti sembra spiccare il volo, consapevole che solo dall’alto si possa osservare la vera essenza dell’insieme.
In un certo senso aveva intuito che solo attraverso i sogni è possibile realizzare i propri desideri come si evince dalle sue parole:
«Quand’ero ragazzo sognavo spesso di volare. Voli alti, stupendi. Era il mio sogno ricorrente. L’ho realizzato da adulto grazie alla musica. Con i musicisti delle orchestre che dirigo – e con molti di loro lavoro da tanti anni – mi succede spesso di volare. Anche per questo ho lavorato tanto di frequente con i giovani, che sanno fidarsi, lanciarsi, volare con me». (Repubblica, 8 giugno 2008).
Un volo fantastico che lo ha portato al raggiungimento di grandi traguardi. Solo per citarne alcuni ricordiamo il debutto al Teatro alla Scala (1960) e tre anni dopo la vittoria del prestigioso premio Mitropoulos. Dal 1968 al 1986 è direttore artistico del Teatro alla Scala e direttore principale dei Wiener Philharmoniker dal 1971. Segue l’incarico di direttore artistico della Staatsoper di Vienna (1986-1991) e dal 1989 al 2002 anche dei Berliner Philharmoniker. Non va dimenticata la dedizione per i giovani come si evince dalle motivazioni nella nomina da parte del Presidente Giorgio Napolitano a senatore a vita (2013): «Si è in pari tempo caratterizzato per l’opera volta a valorizzare giovani talenti anche attraverso la creazione di nuove orchestre, come la European Union Youth Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra Mozart».
Nel 2011 il mensile Classic Voice, interpellando 100 direttori d’orchestra, ha redatto una classifica delle più grandi bacchette di tutti i tempi. Il suo nome compare al sesto posto, come si evince dall’elenco:
1 Carlos Kleiber, 2 Leonard Bernstein, 3 Herbert von Karajan, 4 Arturo Toscanini, 5 Wilhelm Furtwängler, 6 Claudio Abbado, 7 Dimitri Mitropoulos, 8 Nikolaus Harnoncourt, 9 Bruno Walter, 10 Gustav Mahler.
Avendo avuto il privilegio di assistere a diverse prove con l’orchestra Mozart, ricordo il suo accogliente sorriso che continua ad albergare dentro di me. Grazie, Maestro!