Il noto proverbio salentino traducibile con: “l’arte del padre è appresa (dal figlio) per metà”, permette di ricordare la relazione tra uno dei geni musicali di tutti i tempi, Wolfgang Amadeus Mozart, scomparso a Vienna il 5 dicembre del 1791, e suo padre Leopold, importante musicista e compositore, famoso anche per il suo fondamentale contributo educativo alla musica nei confronti del figlio.
Il tema è molto interessante perché chiama in causa molti aspetti come la genetica, l’educazione, il contesto familiare e l’ambiente, tanto che ancora oggi non pochi sono i figli che esercitano la stessa professione del padre proprio perché, stando a contatto fin da piccoli assorbono, quasi involontariamente, l’ “arte te lu tata”; tuttavia non mancano casi in cui i figli, pur trovandosi in una situazione vantaggiosa, mostrano altri interessi e intraprendono un percorso professionale diverso.
Nel primo caso si attua una sorta di passaggio di testimone tra padre e figlio, realizzandosi l’obiettivo che vede il proprio discendente assurgere a degno erede.
Ritornando ai Mozart è evidente che con Wolfgang parliamo di uno straordinario enfant prodige. Nato a Salisburgo nel 1756, proprio il padre, accortosi del “miracolo” musicale, lo avvia in tenera età allo studio della musica con il clavicembalo. A soli tre anni il piccolo salisburghese viene iniziato alla composizione, dimostrando subito un talento inaudito, tanto che la Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 16 («Sinfonia del signor Wolfgang Mozart a Londra») è composta tra la fine del 1764 e l’anno successivo.
Già due anni prima Leopold inizia una tournée come violinista portando in giro per le corti europee Wolfgang e la sorella Anna Maria, detta Nannerl, maggiore di cinque anni, per far conoscere il talento straordinario dei figli, mentre il più piccolo continua a comporre e a pubblicare.
Nel 1768 Wolfgang è in Italia e ascoltando per la prima volta il Miserere di Gregorio Allegri nella Cappella Sistina trascrive a memoria la partitura, mentre a Bologna (1770) conosce il grande Giovanbattista Martini, supera un severo esame e acquisisce il titolo di “Maestro compositore” della Regia Accademia Filarmonica bolognese. È inutile rammentare la sua enorme produzione, nel corso della sua breve vita, che spazia in tutti i generi (dall’ Opera, la Sinfonia, la Musica da Camera, il Concerto, la Sonata, la Musica sacra, ecc.). Ne La clemenza di Tito il personaggio principale, rivolgendosi a Sesto, canta l’aria Del più sublime soglio che, in questo contesto, ricorda il sublime e la vastità della sua produzione tanto che nel 1862 il musicologo Ludwig von Köchel redige un catalogo utilizzando le sigle K o KV (Köchel Verzeichnis).
Ritornando al rapporto tra padre (Pater familias) e figlio, riporto alcuni passi di una lettera di Leopold come risposta alla missiva da Mannheim del 4 febbraio del 1778 al figlio 22enne che si trova lontano, in cerca di una sistemazione professionale a lui più consona.
Le parole del padre svelano molti aspetti riguardo le aspettative nei confronti del figlio senza rinunciare alla richiesta di aiuti economici per la famiglia.
Salisburgo,12 febbraio
Carissimo figlio, ho letto la tua lettera del 4 con stupore e sgomento. Non ho potuto dormire tutta la notte […] Ascoltami dunque con pazienza. Le nostre tribolazioni a Salisburgo ti sono perfettamente note, conosci i miei magri introiti e sai tutti i miei tormenti. Gli scopi del tuo viaggio erano due: cercare un buon impiego stabile oppure, se ciò non ti fosse riuscito, recarti in una grande città, dove ci fossero buone possibilità di guadagno. Tutto questo nell’intento di aiutare i tuoi genitori, di dare una mano alla tua cara sorella e soprattutto di procurarti fama ed onore nel mondo, come è già accaduto nella tua fanciullezza e nella tua adolescenza. Ora dipende solo da te raggiungere a poco a poco il più grande prestigio che mai sia stato ottenuto da un musicista: è un dovere che hai nei confronti del talento straordinario che ti ha dato Iddio nella sua infinita bontà. Dipende solo dal tuo discernimento e dalla tua condotta di vita finire i tuoi giorni come un musicista qualunque, dimenticato da tutti, o come un famoso maestro di cappella, di cui i posteri leggeranno nei libri; di essere impecorito da una donna, in una stanza piena di bambini indigenti su un sacco di paglia, oppure di godere della considerazione generale, soddisfatto, ricco di onori e di fama e ben provvisto di tutto il necessario per la tua famiglia, al termine di una vita cristianamente vissuta.
Nonostante il tenore della lettera di cui sopra, non bisogna rinunciare ai propri sogni perché, rimanendo nella metafora e riferendosi alla saggezza popolare, anche dalle spine può nascere una rosa e, pur con un padre assente, esiste sempre un mentore disposto a guidare i giovani come accade a Telemaco, figlio di Ulisse, impossibilitato a prendersi cura del figlio, lo affida a Mentore.