L’Orchestra Sinfonica di Lecce: crocevia di musicisti, incontri ed esperienze

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Lecce, marzo 1979. All’interno dell’edificio ove è tuttora visibile la scritta «Liceo Musicale Tito Schipa» (dal 1° ottobre 1970 Conservatorio), tra Porta Rudiae e Porta Napoli, un gruppo di musicisti (tra cui docenti e studenti), si incontrano per suonare insieme ignari che da lì a poco sarebbe nata l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Lecce. Il merito di ciò è del m. Carlo Vitale, un musicista di Acquaviva delle Fonti (BA) con aspirazioni organizzative, direttore artistico, ‘padre severo ed affettuoso’ e deus ex machina. Chiunque si trovasse a passare vicino, negli orari in cui si svolgevano le prove, doveva fermarsi perché inondato dai suoni.

Il mio racconto vuole sottolineare, soprattutto ai giovani, l’importanza formativa di quell’esperienza. Qualcuno è rimasto nell’orchestra mentre altri hanno scelto l’insegnamento; altri ancora si sono trasferiti dedicandosi alla musica da camera o entrando in orchestre diverse; qualcun altro ha intrapreso la carriera concertistica da solista, e non manca chi ha continuato a studiare per raggiungere nuovi e ambiziosi obiettivi.

Questa è una testimonianza di una stagione della mia vita in quanto, molto giovane e ancora studente, ho vissuto ciò da protagonista suonando il fagotto per diversi anni. In realtà, quasi per incoscienza, sono stato il primo tra i colleghi a creare una certa “meraviglia” suonando anche il controfagotto.

Accadde in occasione del concerto per pianoforte e orchestra di Ravel per la mano sinistra con la solista leccese Lya De Barberiis e il direttore Ottavio Ziino. Era la prima volta che si sentiva suonare questo strumento dal registro molto grave corrispondente ad un’ottava sotto rispetto al fagotto. Il ‘solo’ iniziale, che coincide con l’incipit del Concerto, fu accompagnato dallo stupore dei presenti e tale fu la gioia del maestro per la mia prestazione che mi offrì da bere al bar vicino.

Ritornando agli inizi dell’Orchestra Sinfonica, presso il Teatro Politeama Greco fu realizzata la Messa da Requiem di Verdi sotto l’autorevole direzione del maestro Ziino con un solista d’eccezione, Carlo Bergonzi. Il successo fu tale che Sergio Prodigo (mio primo maestro di Composizione e docente presso il Conservatorio), recensendo il concerto su «La Gazzetta del Mezzogiorno», utilizzò il sostantivo ‘laurea’ per sottolineare il livello raggiunto dall’orchestra. Considerata l’offerta formativa del territorio di quegli anni, farne parte era un privilegio. Alcuni orchestrali, anagraficamente più grandi, portavano la loro esperienza maturata in anni di professione e così i giovani, con rispetto incondizionato verso di loro, apprendevano molto.

Prima di ogni concerto, vestiti rigorosamente con il frac, aspettando l’apertura del sipario, ‘riscaldavamo’ il proprio strumento controllandone ogni dettaglio (accordatura, ecc.) e qualcuno non esitava a ripassare dei passaggi o “soli” particolarmente impegnativi o cercava la giusta concentrazione per poi accomodarsi al proprio posto con la giusta carica di adrenalina. Quanti cantanti e solisti abbiamo ammirato e quanti direttori, con esperienze internazionali, abbiamo conosciuto! Pensando a costruirci un curriculum approfittavamo per farci rilasciare una dichiarazione dal direttore di turno la quale attestasse la nostra preparazione e professionalità condividendo, inconsciamente, il desiderio mahleriano «Il mio tempo verrà».

L’emozione e le aspettative erano tante: a volte bastava suonare una sola nota lunga (pedale) in una successione armonica particolare per ‘toccare il cielo con un dito’; se poi si era coinvolti nell’esecuzione di un passaggio solistico molto impegnativo, aumentava la soddisfazione, attirando altresì lo sguardo ammirevole, incoraggiante e necessario da parte dei colleghi.

Benché ignari che ciò contribuiva ad uno sviluppo rigoroso sul piano esecutivo, l’esperienza costituiva altresì occasione per conoscere i grandi repertori sinfonici, i concerti solistici (penso a Rota interpretato dal contrabbassista Franco Petracchi) e la grande tradizione operistica.

Durante le pause delle prove, mi piaceva sbirciare la partitura del direttore di turno per contestualizzare ciò che suonavo, rimanendo spesso affascinato dalle annotazioni del maestro e non era raro ‘osare’ a chiedere spiegazioni. Far parte dell’orchestra inoltre significava relazionarsi con altri musicisti e intessere rapporti di amicizia, con scambi culturali ed umani. Mi intrattenevo spesso con colleghi orchestrali stranieri, invece, tra i solisti e direttori d’orchestra, ero attirato dagli italiani.

Un direttore che suscitò la mia curiosità fu Franco Mannino. Notando la sua predilezione a dirigere senza bacchetta, mi venne spontaneo riferirgli quanto il suo modo ‘dialogico’ di comunicare con l’orchestra attraverso le mani aiutasse i musicisti a ‘partorire’ la verità insita nelle pieghe della partitura. In sostanza la riflessione divenne un leitmotiv che riprendevamo ogni volta che tornava a Lecce, seduti a cena al ristorante dopo il concerto, vicino al Teatro Politeama. Mi consigliò di non suonare solo in orchestra ma di fare ulteriori esperienze di studio per poter salire al ‘Parnaso’. D’altronde egli stesso era attivo anche come pianista e compositore.

Tra gli altri personaggi con cui si era creato un dialogo sincero c’era Michele Marvulli, apprezzato concertatore e pianista, che mi divertiva per il suo spiccato accento barese.

Quando saliva sul podio Bruno Aprea non passava inosservato il suo orologio con un cinturino marrone, sovrapponendo spesso la mano sinistra sul polso destro che reggeva la bacchetta, quasi a rinforzo del gesto.

Bruno Rigacci diresse un’interessante Aida svelandomi l’ispirazione del suo Metodo Preparatorio per il corso di Lettura della Partitura (disciplina insegnata al Conservatorio di Firenze) mentre era in spiaggia con i figli.

Una personalità musicale talentuosa è stato Massimo de Bernart, scomparso a soli 54 anni di cui, quando viaggiavamo in corriera per le trasferte, ascoltavo i consigli.

Dulcis in fundo: l’incontro con Piero Bellugi è stata una rivelazione. Un direttore che ‘parlava’ con la sola bacchetta, dotato di un gesto elegante e raffinato. Grazie a lui conobbi il figlio David, virtuoso di flauto dolce e musicista poliedrico, con il quale mi sono diplomato. Mi ha fatto comprendere l’importanza dei ‘repertori antichi’ (dal Medioevo al Barocco) allora poco affrontati nei Conservatori, divenendo poi suo assistente al cembalo presso la Scuola di musica di Fiesole.

Potrei raccontare mille aneddoti su Piero Bellugi, ma riferisco solo che quando diventai suo allievo di direzione d’orchestra, accortosi che lo chiamavo ‘maestro’, precisò: «ma non avevamo deciso di darci del tu?».

Ironia della sorte, un simile episodio l’ho vissuto anni dopo con Claudio Abbado allorquando mi capitò di osservare come con i giovani e i con i collaboratori egli era semplicemente Claudio.

Rivolgendomi ai ‘musicisti in erba’, confermo che suonare in orchestra è un’esperienza meravigliosa, ma per diventare bravi musicisti bisogna investire in una solida formazione, fuggire dalle italiche scorciatoie e rialzarsi sempre dalle sconfitte. Con il tempo, la pazienza, l’esperienza, la tenacia, lo studio e un pizzico di fortuna, uniti al talento, si possono realizzare i propri sogni, confidando nel giudizio che premia il merito e l’originalità.

Bisogna, comunque, evitare l’arroganza e la presunzione di chi è convinto di essere ‘grande’ perché fa perdere tempo e reca danni ad altri a causa della propria invidia.

Concludo con una metafora: meglio sentirsi ‘nani sulle spalle dei giganti’ per vedere sempre più lontano, convinti che anche «L’esperienza ha poco da insegnare se non viene vissuta con umiltà» (Michelangelo Buonarroti).

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Compositore, Direttore d’Orchestra, Flautista e Musicologo. Curioso verso ogni forma di sapere coltiva l’interesse per l’arte, la letteratura e il teatro, collaborando con alcune riviste e testate giornalistiche. Docente presso il Conservatorio di Perugia, membro della SIdM (Società Italiana di Musicologia), socio dell’Accademia Petrarca di Arezzo, dal 2015 ricopre l’incarico di Direttore artistico dell’Audioteca Poggiana dell’Accademia Valdarnese del Poggio (Montevarchi-Arezzo).

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