L’appuntamento del 26 febbraio scorso, previsto nel cartellone degli Amici della Musica di Firenze, dal titolo “Musica &…” faceva già immaginare che poteva trattarsi di un concerto fuori da certi schemi. Infatti è bastato vedere apparire i due brillanti mimi Bodecker & Neander, formatisi presso l’École internationale de mimodrame de Paris «Marcel Marceau», per poter intuire che protagonista della serata era la commistione fra mimo e musica.
Oggi simili incontri sono definiti dialoghi, contaminazioni, ecc. tanto che, per seguire il racconto della serata, occorreva ‘sintonizzarsi’ su alcuni generi di spettacolo e predisporsi verso l’inclusività delle arti di wagneriana memoria. Ma a differenza di talune proposte artistiche in cui lo spettatore, catturato dall’attenzione, diventa soggetto passivo, grazie alla magia e all’illusione della pantomima, il pubblico era libero di intendere le varie associazioni di idee e di espressioni artistiche che non di rado attraversavano la sfera onirica. Protagonista, fatta eccezione per la prima parte, era l’azione (espressa dai movimenti del corpo ivi comprese varie espressioni del volto, ecc.) che interagiva e dialogava con la musica. Insieme ai due mimi segnaliamo la presenza costante del ben strutturato Sestetto d’archi: Viviane Hagner e Stephen Waarts (violini), Karolina Errera e Anna Maria Wünsch (viole), Mikayel Hakhnazaryan e Eckart Runge (violoncelli). In tale contesto la formazione strumentale costituiva l’altro protagonista in quanto, pur rinunciando alla più ricca tavolozza di colori dell’orchestra, riusciva a rispondere all’esigenza del programma. Ogni interprete, quasi ‘personaggio in cerca d’autore’, era intento nell’esplicitare al meglio il proprio compito. Nella varietà della scrittura contrappuntistica si poteva percepire (ma anche vedere) la divisione dell’ensemble in due distinti gruppi formati da un violino, viola e violoncello oppure riapparire tutti insieme in semicerchio, senza far passare inosservati i bellissimi raddoppi tra violino e violoncello o i continui dialoghi tra le singole voci ove ogni componente del gruppo cercava quella integrazione necessaria atta alla valorizzazione soprattutto del melos.
La serata ha avuto inizio con un omaggio a Firenze: Souvenir de Florence, op. 70, Sestetto in re minore di Pëtr Il’ič Ciajkovskij, città che il compositore russo aveva visitato più volte. Non era difficile percepire l’impegno da parte dei musicisti nel restituire quel giusto equilibrio tra le singole voci, problema già sollevato e percepito l’autore: «Devono essere sei parti indipendenti e nello stesso tempo omogenee».
Poi sul Minuetto di Luigi Boccherini, tratto dal Quintetto in Mi maggiore, op. 11 n. 5, sono entrati in scena Wolfram von Bodecker e Alexander Neander, lasciando intendere che occorreva risintonizzare l’attenzione per predisporsi alla ricezione di altri linguaggi artistici. Abbiamo così assistito al Rendez-vous, pantomima ispirata a Cyrano de Bergerac (regia di Lionel Ménard). L’amore di un uomo, non corrisposto dalla donna che ama, ripone la speranza nelle sue lettere che, nell’interpretazione dei mimi, sembrava poesia che accarezzava il cuore del pubblico.
A chiudere la serata (dulcis in fundo) il ‘dialogo tra le arti’ si è concretizzato con Verklärte Nacht («Notte trasfigurata») per sestetto d’archi (poema sinfonico in versione cameristica nella I edizione del 1899) di un venticinquenne Arnold Schönberg ancora attratto sia dallo sviluppo della variazione (Brahms) che dal cromatismo (Wagner). Riferimento ineludibile del lavoro l’omonima poesia di Richard Dehmel: due amanti «camminano per un bosco spoglio e freddo» finché la donna prende il coraggio e rivela all’uomo che ama, forte del desiderio di felicità e maternità, di portare in grembo un figlio che non è suo. Continuando, la donna aggiunge che «Ora la vita si è presa la sua rivincita, / ora ti ho incontrato, oh tu». Ma l’uomo, colto da pietas e amore, risponde: «Il figlio che hai concepito non sia di peso all’anima tua […] Esso trasfigurerà il bambino estraneo, ma tu lo partorirai a me, da me» continuando a camminare «nella notte alta e luminosa». A fare da sfondo, per alcuni aspetti, il magico mondo notturno degli Inni alla Notte di Novalis e del wagneriano Tristan und Isolde (Atto II) con una luna cangiante che segnava la stessa mutevolezza delle situazioni.
Grazie ai tanti rimandi, allo spirito di collaborazione e alla relazione “muta” del duo Bodecker & Neander, l’operazione dava luogo ad una nuova interazione ove musica e l’azione scenica riuscivano a dialogare fino alla conclusione dello spettacolo. Se la pantomima esprimeva una ricca tavolozza di gesti e movimenti raffinati del corpo (includendo masque, clowneries varie fino ad accennare passi di danza, compreso il moonwalk), la musica riusciva a fecondarla restituendo, sotto una nuova luce, uno spettacolo che faceva riflettere e, a tratti, anche divertire.
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