Se è vero che quando non si comprendono le regole si possono trasgredire è altrettanto vero che la loro assimilazione porta a rispettarle come sta accadendo in questo periodo con le direttive governative per combattere la pandemia.
Lucio da Trieste pone il seguente quesito: «perché nelle regole dell’armonia sono proibite le quinte e le ottave parallele?». La domanda ricorda un interrogativo di Debussy: «perché sono condannati i movimenti paralleli [mentre] il sacrosanto “movimento contrario” viene beatificato? E in onore di che cosa?».
La vessata quaestio attanaglia ancora oggi il mondo della composizione e della musicologia, pertanto rispondo con alcune considerazioni tralasciando, per ovvie ragioni, argomentazioni che vanno dalle eccezioni all’uso della combinazione dei registri dell’organo, ed altre ancora che si riferiscono ai corni e/o a modelli di partiture come quella del Bolero di Ravel.
Com’è noto, le proibizioni di cui sopra sono enunciate dai teorici e, non di rado, accade che il maestro assuma il ruolo di controllore dell’allievo che deve applicare le regole mentre, diversamente dall’atto del comporre, si preferisce lasciare spazio all’immaginazione e alla creatività.
Talvolta però è possibile incontrare “errori”, “sviste” e “trasgressioni “e pertanto risulta molto difficile e/o quasi impossibile comprenderne le ragioni, dovendo così accettare il principio che tali “inosservanze” non vadano considerate elementi che screditano le singole capacità e separano l’ambito scolastico da quello artistico.
Nel contrappunto sussistono severi divieti, come quelli relativi alle quinte e ottave parallele, i quali rimarranno parte di un certo ordinamento compositivo (alludo al Gradus ad Parnassum di Fux, al Cours de contrepoint et de fugue di Cherubini, ecc.) per tutto l’Ottocento prevalendo un modello didattico che fatica a far dialogare dottrina e inventio. Infatti Dubois nel suo Traité d’harmonie théorique et pratique (1901) riferendosi a composizioni del Rinascimento definisce le quinte e ottave semplici “trascuranze”.
Un significativo contributo arriva dal musicologo Schenker, il quale, condividendo la convinzione generale del non dover applicare automaticamente le regole, considera le stesse come procedimenti strutturali non disgiunti da problemi storico-stilistici, estetici, ecc.
Entrando nello specifico, ecco un semplicissimo esempio ‘scolastico’, anche per chi ha poca esperienza con queste problematiche. Se tra basso e contralto (nota più grave e quella centrale nelle tre superiori) abbiamo due intervalli di “quinte parallele” (leggendo dal basso verso l’alto: do – sol / re – la), tra basso e soprano due intervalli di “ottave parallele” (le note estreme: do – do /re-re). La comprensione della regola, anche in questo caso, invita a trovare la soluzione attingendo a quel «sacrosanto “movimento contrario”», citato dal compositore francese. Per non incorrere in questo divieto basta applicare il moto contrario nelle tre voci superiori.
Sulla proibizione esistono risposte più generiche come: “sono brutte” oppure “non musicali”. Cito volentieri una definizione meno ‘soggettiva’ di Owen Swindale: «Le quinte e le ottave parallele sono proibite in quanto disturbano l’autonomia del movimento delle parti».
Allargando lo sguardo al passato, i contributi più significativi arrivano da trattati di compositori – teorici nonostante, da parte di Tinctoris a Gaffurio, Zarlino, Artusi, fino al dotto Padre Martini, non si faccia altro che parlare di divieti e proibizioni. In seguito, Fétis, quasi a riassumere la dottrina armonica dei secc. XVIII-XIX, afferma che «due quinte successive producono la sensazione di due toni che non hanno fra loro alcun legame e così pure un’ottava non deve essere seguita da un’altra ottava perché quest’accordo è meno armonioso di tutti gli altri», mentre nel 1911 Schönberg, nel suo Harmonielehre, sostiene che il divieto scaturisce dalla preoccupazione di far perdere alle parti la loro indipendenza parteggiando così per il suo «metodo di composizione con dodici note poste in relazione esclusivamente l’una con l’altra».
La polifonia medievale, costruita con quinte e ottave parallele (consonanze perfette insieme all’unisono), evidenzia quanto il percorso compositivo occidentale muti nel corso della storia mentre successivamente giganti come Bach, Mozart, Beethoven non sono immuni da tali “inosservanze” e nel ‘900 le melodie e armonie parallele di Ravel, Debussy e altri, più che errori andrebbero percepite come caratteristiche del loro linguaggio (topos) al punto che Hindemith in Mathis der Maler non esita a utilizzare prevalentemente intervalli di quarta e di quinta.
Segnalo che Arcangelo Corelli, importante compositore del periodo barocco, si erge a difesa dell’utilizzo di quinte parallele nella sua Sonata op. II. N. 3. L’origine della “tenzone” risale al 1685 quando a Bologna, in casa di Giovanni Paolo Colonna, si esegue la suddetta sonata. Con imbarazzo gli esecutori fanno notare che nella partitura sono evidenti delle quinte parallele.
Matteo Zani scrive all’amico Corelli chiede le motivazioni di tutto ciò ricevendo da parte di quest’ultimo la risposta che le insinuazioni da parte di «codesti virtuosi» derivano dal loro stesso sapere il quale «si estende poco più che oltre de’ i primi principii della composizione […] poiché se fossero passati più avanti nell’arte e sapessero la finezza e profondità di essa, a che cosa sia Armonia e in che modo possa dilettare e sollevare la mente umana, non avrebbero tali scrupoli, che nascono ordinariamente dall’ignoranza».
Ecco il passo incriminato (dalla batt. 3 dell’Allemanda Allegro) ove si può constatare la successione di quinte parallele tra le due voci estreme contrassegnate dal numero 5:
Egli inoltre afferma: «Già in questo passo si vede, che io ho segnate le quinte sopra il basso, per far vedere, che io conoscendo che cosa è quinta, ho voluto far così non per errore, ma per mia elezione, per far spiccare la mia intenzione…».
Per concludere, consiglio a Lucio di rispettare sempre le regole (Dura lex, sed lex) e nello specifico anche il divieto di quinte e ottave parallele con la certezza che solo dopo aver interiorizzato veramente la regola, anche lui in futuro potrà scegliere, com’ è accaduto ai grandi compositori.