Dal Vangelo secondo Matteo (28, 16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
A volte ritornano. È il titolo di un vecchio film degli anni ’90. Non per la trama, ma per la frase ad effetto potrebbe essere un titolo che calza bene al Vangelo che la Chiesa propone in questa Solennità dell’Ascensione. Il Vangelo di Matteo, infatti, si conclude e si chiude lì dove è iniziato. Dalla Galilea Gesù aveva dato inizio al suo ministero e non è un caso che essa è definita Galilea delle genti. Non solo perché è il crocevia di popoli e culture che intersecano e s’intrecciano con il popolo della Prima alleanza. È Galilea delle genti perché da qui inizia il tempo nuovo, quello della Chiesa chiamata a proseguire ciò che il Cristo ha iniziato: l’annuncio del Vangelo.
In questo spazio aperto ai sapori di orizzonti nuovi e gravidi di lieti annunci Gesù dà appuntamento ai suoi. E non in un luogo poco definito, ma sul monte. Lo stesso dal quale aveva pronunciato il manifesto della rivoluzione dell’amore che è il programma della Nuova ed Eterna Alleanza (su un altro monte Mosè aveva stipulato con Dio per il popolo scelto l’Alleanza Sinaitica); su un altro monte Satana aveva provato a farlo salire per tentarlo; su un monte, quello della Trasfigurazione, era stata profeticamente annunciata e prefigurata la Pasqua; su un monte era stato elevato da terra inchiodato su una croce. Questo monte di Galilea, dunque, diventa l’appuntamento degli appuntamenti. Qui confluisce il passato. Da qui si dipana il futuro della Chiesa e dell’uomo.
«O giorno primo ed ultimo, giorno radioso e splendido del trionfo di Cristo!». È l’incipit di uno degli Inni delle Lodi mattutine del Tempo Ordinario. Su questo monte geografia e tempo confluiscono: è la prima volta, infatti, – secondo la versione di Matteo – che gli undici incontrano il Signore risorto; ma sarà anche l’ultima: da qui a breve ascenderà al Padre. Non possono perdere l’occasione, unica e irripetibile, di incontrare e fare esperienza del Risorto. Da una parte stupore e meraviglia davanti al miracolo di una vita nuova che ha sconfitto la morte, dall’altra la consapevolezza di non poter perdere l’unicità dell’occasione presentatasi perché il Signore sta per salire al Cielo.
Paradossi e contraddizioni che non finiscono nell’identificazione del Tempo della Pasqua (Giorno Primo ed Ultimo…), ma che continuano nel dire “Addio” a Colui che sarà sempre con noi: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Una verità che non semplicemente è promessa di là da venire, ma realtà presente qui ed ora nonostante gli ostacoli, le fatiche, gli affanni e le paure del vivere.
Quanto l’evangelista Matteo ci permette di contemplare descrivendo la scena dell’incontro che ha cambiato la storia dell’umanità, è ciò che si realizza ogni volta che noi saliamo sul monte che è l’Eucaristia. Ora che ne abbiamo l’opportunità non sciupiamo l’occasione: prostriamoci tremanti e titubanti per adorarlo ed anche noi saremmo annoverati tra coloro che Lui, Maestro e Signore, invia sulle strade del mondo per portare annunci di liete notizie nella testimonianza dell’amore.