Tra i tanti modi di dire utilizzati nella nostra lingua, l’espressione «crescendo rossiniano» è intesa come progressivo aumento di qualcosa e/o situazione derivante dal gerundio «crescere».
Pur non entrando troppo nel tecnico, vediamo più da vicino cosa può succedere guardando e ascoltando la musica.
Il procedimento non è un’invenzione del Cigno pesarese, in quanto effetti simili sono presenti anche in lavori di Ferdinando Paër e/o di Johann Simon Mayr, ecc. Tuttavia, utilizzato in un certo modo, diventa una caratteristica, un topos e/o «un poderoso ordigno dell’effetto che producono le composizioni di Rossini».
Ricordando che il Maestro era amateur e cultore del cibo, ecco una singolare descrizione tratta da una fonte dell’800:
«Essi [i crescendi] fanno la loro regolare ed invariabil mostra nelle sue sinfonie e finali, come grattugiate strisce di rafani qua e là sparse in un bel mezzo di arrosto. Qualche semplice frase di quattro battute o cosa simile, fondata sopra una alternativa delle armonie toniche e dominanti, è scelta per servire a guisa di pivolo, onde sostenere il suo diletto crescendo: e nissuna cosa rimane, fuori che di dare il segno delle mutazioni del soggetto, di cui si tratta, procurando che successivamente settentrino gl’istrumenti, e si vada a grado a grado aumentando il rumore, accrescendo non solo la forza del suono, ma il numero ancora e la velocità delle note. Questa ricetta domestica, onde preparare i crescendo rossiniani, possiamo con tutta confidenza raccomandarla come infallibile».
Per chi ha esperienze in cucina invito a pensare, per alcuni aspetti, ad un procedimento simile alla lievitazione del pane, ove la qualità degli ingredienti, unitamente ai dosaggi, alla procedura dell’impasto, oltre ai tempi di lievitazione e di cottura, diventa determinante.
Immaginando di stare accanto al “compositore – cuoco”, vediamo le procedure per ottenere un «crescendo» che faccia ‘lievitare’ la musica.
Punto di partenza è seguire il suo motto: «Melodia semplice – ritmo chiaro».
In sostanza, gli ‘ingredienti‘ musicali più comuni sono: motivi semplici, uso delle terzine e/o di altre formule ritmiche stereotipate, appoggiature, ispessimento della scrittura orchestrale, elementi contrastanti, simmetria dell’architettura formale, reiterazione ritmica, melodica e armonica, ecc.
Come esempio emblematico la celeberrima ouverture de Il Barbiere di Siviglia.
Il termine francese, che nella nostra lingua va inteso come ‘apertura’, indica una composizione strumentale che precede un’opera lirica, alla fine del Settecento, mentre in Italia si usa il lemma Sinfonia dichiarando piena adesione alla struttura formale. Gli esempi più utilizzati sono quelli in cui ad un movimento lento segue un allegro in cui si rintracciano due temi diversi ed entrambi importanti. La particolarità di questa Sinfonia, in un primo momento destinata all’Aureliano in Palmira e successivamente ad Elisabetta regina d’Inghilterra, chiama in causa anche problemi di autoimprestiti e di un modello di Sinfonia autonomo e avulso dal resto dell’opera.
L’iniziale Andante maestoso – formato da 24 battute, disposte tra loro in modo simmetrico – si caratterizza per l’alternarsi di elementi contrastanti già dagli accordi fortissimi iniziali con tutta l’orchestra seguiti da un pianissimo tra legni e archi, più in particolare tra il flauto e i primi violini. Giunti verso la fine, dopo lo smorzando a poco a poco, si ripresentano i due accordi iniziali – ora alla dominante rispetto alla tonalità d’impianto (Mi maggiore) – creando suspence per dare inizio all’Allegro con brio.
Ecco l’architettura formale: esposizione del primo tema nella tonalità in Mi minore (affidato ai primi violini); segue una sezione contrastante (invece di un breve ponte modulante) dove si uniscono anche altri strumenti a fiato (ottoni) e le percussioni; poi la volta del secondo tema affidato, come di consueto in Rossini, ai fiati (prima all’oboe e la seconda volta al corno), ora nella tonalità relativa di Sol maggiore. Dopo questo intervento, l’incipit del secondo tema (che consiste solo nelle tre note della prima battuta) costituisce il nucleo del “crescendo”. Al dolce melos, un pianissimo dei legni, si contrappuntano i violini; poi il pulsare delle crome delle viole e dei violoncelli insieme alla punteggiatura delle note fondamentali dell’armonia dei contrabbassi definisce ogni due battute le armonie di tonica e di dominante. Tutto aumenta gradualmente, “lievita” (cresc. a poco a poco) grazie a ingressi di altri strumenti fino ad arrivare ad un crescendo che sfocia in un’esplosione a piena orchestra.
Le sensazioni dell’ascoltatore durante questo “viaggio” sono molteplici. Sembra di essere coinvolti in un’agitazione sempre più crescente, a tratti vorticosa e frenetica, pur rimanendo, per gli effetti della reiterazione, sempre fermi.
Conclusa questa sezione la scrittura si alleggerisce per tornare al pianissimo degli archi. Fedele alla struttura della forma sonata, troviamo, pur con qualche variante, i due temi (il primo, ancora per due volte, affidato ai primi violini in Mi minore ed il secondo ora nella tonalità di Mi maggiore proposto prima dal clarinetto e poi dal fagotto). Segue la testa di questo tema per far riprendere il “crescendo” portandosi verso la coda finale (Più mosso) e la conclusione.
Al termine di questa degustazione musicale il palato può essere finalmente appagato con la torta di mele alla Guglielmo Tell ricordando una celebre frase del Maestro: «Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo».