Mentre da un lato stiamo vivendo un periodo di dubbi e preoccupazioni dall’altro, pur chiusi in casa, la constatazione delle numerose vittime da pandemia ricorda la certezza della nostra precarietà.
A complicare la situazione non mancano opinioni, anche da parte di coloro che sono sprovvisti di un minimo di competenza scientifica, che affermano tutto e il contrario di tutto tanto da chiamare in causa il vecchio adagio comu la faci la sbagli. Intanto aumentano l’ansia e le apprensioni su come rassicurare i bambini, sulla scelta delle priorità del quotidiano, ecc. mentre il mondo della politica, del lavoro, della cultura, dello sport e di ogni altro settore della società si interroga su come reagire, cercando di lenire i danni che questa circostanza sta procurando. In definitiva si ripresentano gli stessi problemi ogni qualvolta l’umanità deve fare i conti con una ‘rinascita’.
Provando a specchiarsi nella poesia, quasi a cercare qualche sana riflessione, vengono in mente i versi che Bertolt Brecht scrisse per manifestare la sua contrarietà agli orrori del secondo conflitto mondiale:
Se durassimo in eterno
Tutto cambierebbe
Dato che siamo mortali
Molto rimane come prima
La chiarezza del testo non ha bisogno di commenti. Mi soffermo solo sugli ultimi versi della composizione, ove nel richiamare l’unica certezza, da la quale nullu homo vivente po’skappare, troviamo qualcosa di simile allo slogan del “tutto ritornerà come prima”.
Considerando alcune caratteristiche dell’uomo come l’egoismo, il trincerarsi nel proprio orticello, il mancato rispetto per il pianeta e ogni altra situazione che possa identificarsi nel mors tua vita mea, non è meglio investire in un mondo meno malato piuttosto che far tornare tutto come prima?