La celeberrima sequenza Stabat Mater, che una certa tradizione attribuisce a Jacopone da Todi (XIII sec.), ancora oggi ci ricorda liturgicamente il rito della Via Crucis e della processione del Venerdì Santo, benché già dal Medioevo sia oggetto ispiratore e di riflessioni teologiche.
Pensando alle molteplici rappresentazioni iconografiche della presenza della Madonna che assiste alla crocifissione nei vari secoli, risulta altrettanto significativo che in musica si registrino un numero esorbitante di intonazioni sul tema, molte delle quali rintracciabili anche in brani come Tenebrae factae sunt nel gregoriano o nelle Passioni di Bach.
Tornando allo Stabat Mater, musicato oltre quattrocento volte, che vede esempi mirabili da Josquin des Près ad Arvo Pärt ed altri ancora, passando per un considerevole numero di compositori nel periodo Barocco (accanto al nome di Vivaldi anche diversi pugliesi: Cafaro, Fago, Traetta, Paisiello, ecc.) e altri quali Haydn, Rossini, Verdi, Schubert, Listz, Perosi, Poulenc, ecc., colpisce la significativa narrazione espressiva del testo.
L’incipit testuale, caratterizzato dall’imperfetto Stabat, introduce in una situazione atemporale e descrittiva insieme:
Stabat Mater dolorosa /iuxta crucem lacrimosa, /dum pendebat Filius
Rivivendo ciò che accade e percependo il dolore lacerante di Maria per la crocifissione del Figlio vengono alla memoria alcune espressioni di San Bernardo che possiamo interpretare con: Stava la madre morta senza voce, perché trafitta dal dolore; stava immobile, e pallida come morta provava il dolore della morte, una morte che continuava e alla quale non c’era fine.
Attraverso le parole della sequenza pare di “vedere” la sofferenza della Madre di Gesù:
Quae moerebat et dolebat, /Pia Mater, dum videbat/nati poenas incliti
Le sofferenze si protraggono in tutta la prima parte ed è così lacerante il dolore da immaginare la Vergine mentre sviene, come accade nella rappresentazione della Crocifissione di Giotto.
L’amore di Maria nei confronti del Figlio appare molto grande ai credenti, ma per il filosofo e teologo domenicano Alberto Magno (XIII sec.) è anche eccessivo, parimenti alla stessa sofferenza. Ecco allora che il pathos del testo sacro, preghiera e contemplazione del dolore, può essere percepito già all’inizio del capolavoro di Pergolesi con reiterate e struggenti dissonanze, un autentico planctus. E ai lamenti di Maria e del proprio Figlio sulla croce l’umanità si unisce al dolore e al pianto:
Eia, mater, fons amoris, / me sentire vim doloris / fac, ut tecum lugeam
Chiedendo la condivisione della passione di Cristo, siamo sicuri che la sua stessa morte è per noi fortificazione al punto che, quando il corpo terreno avrà smesso di vivere, all’ anima sarà concessa la gloria del Paradiso:
Quando corpus morietur, / fac, ut animae donetur/ paradisi gloria.
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