Ha un sorriso aperto, uno sguardo diretto e una vita intellettuale intensa. Si tratta di Giuseppe Pascali, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno e autore, fra le altre cose, del “Sigillo del Marchese”,(Lupo Edizioni) e de “La Maledizione di Toledo”( Il Grifo Edizioni).
È un cultore del romanzo storico, reso intrigante dalla sortita nel Thriller. Ed è soprattutto un appassionato delle pieghe più nascoste dell’esistenza e cioè delle vicende dei piccoli, degli sconosciuti, degli esiliati dall’affresco della grande storia e dalla storia dei grandi e dei grandi avvenimenti.
Cerca così di dare voce e volto a personaggi di cui si hanno tracce nei documenti ufficiali, ma di cui, come il galantuomo e grande musicista Carlo Cesi, si è persa la memoria.
“Scrivo dove si ferma la penna – dice – e le storie che sono dentro di me mi saturano ed escono fuori, andando ad animare la carta”. Quando si tratta di descrivere le proprie passioni, Giuseppe si trasforma in un torrente di parole con un entusiasmo e una foga che ne testimoniano l’autenticità e la genuinità. Si diverte, ma veramente tanto, a ricercare, indagare e poi a scrivere ed è questa gioia profonda dello scrivere e per lo scrivere che cerca di comunicare e trasmettere al lettore, il puro piacere dell’offrire a chi legge, e naturalmente a sé stesso, il gioco multiforme e infinito della parola. Se ne va, in questo modo, a braccetto con Umberto Eco di cui mi richiama la nota espressione: “Io vorrei che il lettore si divertisse a leggere almeno quanto io mi sono divertito a scrivere”.
E non è difficile indovinare la sua ammirazione e per l’autore di un successo letterario come “Il nome della rosa” e la sua tensione, tutta positiva, a seguirne le orme. Cosa lo può spaventare? Ciò che non riesce a condurre a termine. Che sia un articolo o un romanzo, o che sia qualcosa di più profondo, intimo ed esistenziale.
Gli chiedo, a tale proposito, di farmi partecipe di un suo ricordo d’infanzia e allora mi parla dei pomeriggi all’imbrunire e dei tetti, dei terrazzi e dei comignoli, che amava ammirare, passando, come in una dimensione incantata, perché gli davano una sensazione onirica, come di un mondo nel mondo. E qui, da scrittori, conveniamo sul fatto che molto, anzi moltissimo del vissuto personale viene trasferito nei personaggi dei romanzi e che quindi ogni storia raccontata ha comunque una forte valenza autobiografica. Infatti sarà Caterina Cavazza, la protagonista del suo prossimo romanzo, a ereditare questa piacevole abitudine.
Durante la nostra chiacchierata il sorriso non ha mai abbandonato il suo volto e una sana cordialità ha ravvivato il nostro dialogo, perciò mi confida apertamente che uno dei suoi vezzi prediletti consiste nel collezionare pipe, penne e cappelli di cui fa poi uso. E mi pare di fare un salto nel tempo, lo vedo d’improvviso come qualcuno vissuto in altre epoche, lontane e diverse, in cui questi oggetti possedevano fogge e forme differenti. Me lo immagino come uno dei suoi personaggi, in quello cioè in cui Giuseppe, dando forma, si trasforma, divertendosi un mondo a scriverne.