Nel dirompente e convulso mondo culturale leccese, che di anno in anno si propone con nuovi scintillii, a volte effimeri, si colloca da molto tempo Maurizio Mazzotta, ma con toni discreti, raffinati e di straordinario pudore. Lo accompagnano in ciò una formazione importante e un intuito raro e sottile.
Ho conosciuto Maurizio nel 2012, tramite Pompea Vergaro, nostra editrice e, sotto certi aspetti, nostra sponsor e tifosa per un tempo molto lungo. Subito l’intesa con Maurizio è stata fluida. Lui? Un ottimo conversatore, per nulla spigoloso e del tutto aperto ed accomodante, dove la sua ampia cultura trasuda soprattutto dalla postura: non gli serve altro, non gli serve ostentare.
Nel panorama leccese può essere annoverato tra i veterani, e non solo per quanto riguarda la pubblicazione di saggi e racconti, ma anche come autore, regista e attore di cortometraggi. Di certo non è un poeta, ma ha l’arte della comunicazione, della parola, del pensiero, che lasciano sempre un segno. Anche il gesto in lui ha valenza, che non passa inosservata.
Da bravo psicologo – ora in pensione – non lascia nulla al caso e soprattutto, in controtendenza con certe determinanti della nostra società, si impegna a capire, dove questo non lo porta mai a prendere posizioni nette, ma prevalentemente umane.
È dagli anni ’80 che scrive. Una bibliografia la sua di grande rilievo e spessore. Ma ad un’attenta analisi, ad una puntuale osservazione, questa induce a pensare di lui che sia un uomo che ama l’avventura, che ama stupirsi. Ma al contempo che ama anche stupire, perché in tutti i suoi racconti, nei suoi corti c’è sempre del mistero, sono attraversati dai colpi di scena e piccano sempre su un’ironia sapiente e mai spicciola. Ma c’è di più. L’indizio più segnante è la discontinuità della sua produzione. Non esiste un filo conduttore, un file rouge che collega la sua creatività. Maurizio preferisce la novità alla routine, infatti.
Lui, il chirurgo e il radiologo dell’anima conosce benissimo il magmatico che è dentro ogni uomo, dove la fanno da padroni le contraddizioni e i tanti nodi esistenziali mai sciolti. Ma di questo pare che non se ne curi molto, badando al fatto, alla circostanza, alla realtà oggettiva. Eppure è un sentimentale, un uomo buono e generoso, un grande amico sebbene ciò non lo esima da una certa tendenza a selezionare, con perizia e in maniera accurata, chi lo circonda. Probabilmente è stanco delle banalità esistenziali.
Il mondo che descrive nei suoi racconti e nei suoi corti è quello delle persone che hanno dello straordinario sebbene vivano in un contesto ordinario. La sua produzione si distende su note letterarie che hanno quasi tutte l’humus del quotidiano. Niente luci, riflettori e pizzi, ma all’interno delle sue scene si muovono attori di tutti i giorni, colti da angolazioni che mai rasentano il banale. E qui sta il bello di Maurizio. Un occhio il suo che riesce a cogliere lo straordinario nel fluire della normalità, del déjà vu.
Ultimamente, ha esperito le strade del giallo, pubblicando l’anno scorso la sua ultima fatica letteraria: Tangass – tango con l’assassino. Ha risolto così anche la sua passione per il tango, celebrandolo in maniera piena e corposa in un lungo racconto, i cui protagonisti sono dei tangheri appassionati.
Ma il suo vero capolavoro, per l’intreccio della storia e per la tensione che non molla mai il lettore, risale al 2006, con Gli Uomini delle Vigne, edito da L’officina delle parole di Lecce. Qui, con linguaggio piano, quasi privo di orpelli aggettivali e strumenti retorici, sviluppa una particolare vicenda d’amore, dove la reticenza narrativa e contestuale, crea suspense sino alla fine del racconto.
Che dire in conclusione del nostro Maurizio Mazzotta? Molti sono gli scrittori che si sono affacciati con entusiasmo negli ultimi quattro, cinque anni a Lecce, i quali dovrebbero guardare a lui per tenacia e creatività, perché il suo incedere è di sicuro insegnamento.