Romanziere, critico, saggista e fotografo, Roberto Cotroneo è tra i protagonisti della vita culturale italiana degli ultimi trent’anni. Tra il 1985 e il 2003 lavora al settimanale L’Espresso, e per quasi dieci anni dirige le pagine culturali. È stato inviato del settimanale e poi editorialista per Panorama, l’Unità, Il Sole 24 Ore. Terrore degli scrittori quando, ai primi anni Novanta, con lo pseudonimo di Mamurio Lancillotto stroncava letterati titolati ed esordienti sul “Sole 24 Ore”. È stato per alcuni anni conduttore della Mezzanotte di Radio Due, e nel 2010 ha condotto il programma de La7 La 25ª Ora. Per cinque anni ha tenuto una rubrica settimanale su Sette del Corriere della Sera: Blowin’ in the Web. Negli ultimi tempi alla narrativa ha affiancato un lavoro di ricerca attraverso l’immagine fotografica.
Parliamo del Salento. Cosa la ispira e l’attrae di questa terra?
Il mio legame con il Salento esiste da ben 30 anni. Ricordo quando sono venuto la prima volta: era un posto bellissimo, Lecce era molto diversa da com’è adesso, non c’era l’invasione dei turisti e ricordo che avevo bisogno di un taxi e all’epoca non esistevano ancora i taxi. Trent’anni fa era un mondo totalmente diverso; ci venivo puntualmente a Pasqua, Natale, insomma durante le festività poiché la mia ex moglie è salentina. Ho un legame privato e personale con il Salento e quando torno qui è sempre per me, una gran festa.
Cosa ne pensa del panorama culturale salentino?
Penso che sia molto vivo, estremamente vitale. Il Salento è una Terra di grande cultura, di passioni e trovo che ci siano tante persone che vogliono coltivarle. Lecce è fatta di “posti caldi” e la gente è molto appassionata alle cose, ed io apprezzo molto questo.
Recentemente si assiste ad un fenomeno che andrebbe “studiato”, almeno da un punto di vista sociologico: tutti scrivono libri e spesso sono prodotti di scarsa qualità. Cosa ne pensa?
Questo è sempre avvenuto. Io incoraggio tutti a scrivere poiché scrivere fa bene al cuore, se è funzionale al proprio narcisismo va bene anche, poi lo sanno bene i lettori quali sono i libri di qualità o meno. Non mi indigno.
Quanto i libri possono lenire o curare i dolori dell’esistenza?
Tutta l’arte, la letteratura è terapeutica. La letteratura da sempre ci racconta chi siamo, e i libri possono darci delle risposte che è difficile poter trovare da soli.
Il Castello di Otranto, dall’11 giugno al 24 settembre dello scorso anno è stato il contenitore di una sua mostra molto interessante: “Genius Loci”, sul rapporto tra pubblico e arte. Nelle foto i soggetti erano i fruitori?
Si! Ho fatto un lavoro durato più di tre anni. Ho osservato e fotografato il pubblico negli spazi espositivi, nei loro movimenti, nelle posture, nelle espressioni, nella capacità di attraversare gli spazi, i luoghi. Solitamente siamo portati a pensare agli spazi espositivi come a dei luoghi perfetti dove quello che conta sono le opere esposte, in realtà i luoghi espositivi sono abitati dai visitatori. “Genius Loci” è il risultato di questo mio lungo lavoro fatto di testi ed immagini, del rapporto tra il pubblico e l’arte, tra le opere e le immagini fotografiche raccolte nelle gallerie e nei musei di tutta Italia. Ho voluto capire cosa accade alle persone, dentro uno spazio espositivo, che osservano le opere d’arte.
Quanto c’è di autobiografico nel suo ultimo romanzo: “Niente di personale”?
C’è molto! E’ un romanzo fortemente personale. Ci sono delle storie che sono mie storie, della mia infanzia, della mia famiglia, storie di vario genere…
E il titolo?
Trovo che sia un bel titolo, accattivante. E’ difficile trovare un titolo che calzi bene … un po’ come le scarpe, ecco! E … “Niente di personale” calza alla perfezione.