Marcello Buttazzo è nato a Lecce e vive a Lequile. Ha studiato biologia all’Università “La Sapienza” di Roma. Autore di numerose silloge. La sua ultima fatica letteraria in via di pubblicazione: “Fra le pieghe del rosso”, edita dai Quaderni del Bardo
Una penna mai scontata che riesce sempre con profondità e delicatezza a scandagliare e sviscerare emozioni e sentimenti. Marcello Buttazzo cattura il potere magnetico delle emozioni e le racchiude in versi delicati ed eleganti.
La poesia è il linguaggio della bellezza. T. Dylan affermava: “Il mondo non è più lo stesso dopo che gli si è aggiunta una bella poesia”. Come nasce la sua intuizione poetica?
La poesia può innalzare inni alla bellezza umana, a quella paesaggistica, può nutrire la passione spirituale, può dare sfogo all’impeto civile e sociale. L’intuizione poetica può avere un ampio spettro di possibilità. E’così anche per me. Dapprima è necessario più che mai vivere, traversare l’esistenza con dignità, con decoro, con contegno, con umiltà. Poi i vissuti devono sedimentare nel sommerso, per poter emergere alfine alla luce del sole e diventare versi. E’canto d’amore, passione per gli ultimi, per gli esclusi, per i senza voce.
Quanto manca alla pubblicazione della sua nuova silloge. Chi è stata la sua “Musa ispiratrice”?
La mia nuova raccolta di poesie dovrebbe uscire entro aprile – maggio 2022. Il rosso è l’emblema dell’anima, di ciò che è più intimo. Sono complessivamente quarantasei poesie, essenzialmente d’amore, dedicate a Laura, che è la mia Musa ispiratrice, complice di confidenze e di dialoghi serrati sulle centomila evenienze della vita.
Ha partorito questa sua ultima silloge durante un periodo difficile, qual è quello pandemico che stiamo ancora vivendo. Come la pandemia e il lockdown ha influenzato il suo rapporto con la scrittura?
I versi della raccolta sono stati redatti nel 2021, in un tempo di chiusura e di restrizioni. Ovviamente, il periodo pandemico ha inciso sulle abitudini e sui comportamenti sociali ordinari di ciascuno di noi. Tuttavia, devo dire che il dover vivere più appartato non ha condizionato più di tanto la mia scrittura. Non amo l’inclinazione al solipsismo, la solitudine sterile, imposta da altri o da altre, la trovo frustrante. Prediligo una sorta di solitudine creativa, una condizione dello spazio e del tempo che mi faccia restare in contatto con gli altri e, al contempo, mi conceda respiro e spazi per il pensiero.
Cosa vorrebbe che il lettore comprendesse leggendo le sue raccolte poetiche, c’è un messaggio preponderante che le attraversa tutte?
C’è un filo rosso che percorre tutte le mie raccolte poetiche: l’amore come pensiero dominante. Amore per l’universo femminile, per la natura, per il padre, per la madre, per gli affetti duraturi, per la terra. Il discorso poetico non può essere mai un ripiegamento su stessi, ma deve aprire squarci di cielo, deve ambire ad un afflato universale. La poesia deve essere condivisione, compartecipazione. Aggiungerei: l’amore per le muse vuole essere un battito di cuore collettivo, comunitario, la passione per tutte le donne del mondo.
Il Salento, terra magica: possiamo rintracciare degli influssi, delle atmosfere della terra salentina nelle sue poesie?
La terra di zolle marroni è presente in tutti i miei versi. Il mio paese, Lequile, le strade di Lecce e le contrade del Salento battono e percuotono il tamburo, come luoghi imprescindibili. Anche negli spunti più immaginifici e trasognati, la terra madre mi avvolge con le sue creste reali, con il suo abbraccio accogliente, con le sue chiese, con le piazze aperte, con i percorsi di campagna, coi contadini, coi ragazzi e con le ragazze per la via. La “pretesa” poetica è che tutto il mondo possa trovare cittadinanza, fiato e trasalimento nel Salento.