Una campagna elettorale a trazione borghese sul taxi della povera gente. Nulla di nuovo a Lecce: da una parte i radical chic della sinistra moralmente, intellettualmente, culturalmente superiore, ma sempre perdente a questa latitudine; dall’altra i parvenu del centrodestra, critici con i loro referenti politici ma sempre disposti ad abbassare il capo quando le urne chiamano. In contorno gli idealisti, volti nuovi più o meno portatori di idee. E sullo sfondo la “povera gente”, che magari si infila in qualche lista elettorale sperando che il proprio impegno venga prima o poi premiato.
Unica novità è la candidatura trasversale dell’ex assessore Alessandro Delli Noci, che, folgorato sulla via della gloria personale, ha rinnegato l’affiliazione alla giunta Perrone e corre in perfetto strabismo democristiano, non a caso assistito dall’Udc. Il giovane ingegnere infatti sta in mezzo, tutt’altro che sospeso, pescando un po’ di qua è un po’ di là: dagli scontenti del centrodestra e da chi non punterebbe un centesimo, nemmeno se regalato da banche toscane, sul centrosinistra. Lavoro sotterraneo, che elude gli steccati ideologici e partitici. Sull’esempio di Pippi Mellone, che l’anno scorso è divenuto primo cittadino di Nardò abbattendo i soliti paletti della politica. Giorni fa il sindaco neretino, notoriamente militante a destra, ha invitato gli elettori a sostenere alle primarie del Partito democratico il pugliese Michele Emiliano. Il che ha suscitato polemiche fra i piddini che, Sergio Blasi in primis, evidentemente non brillano per elasticità mentale. Non è dunque un caso che in tempi non sospetti Mellone abbia espresso il suo appoggio a Delli Noci. Così come ha fatto il sindaco di Gallipoli, di marca piddina, Stefano Minerva. Segni del trasversalismo maturato sulle rovine di partiti vistosamente falliti, oltre che dalla necessità di Emiliano di trovare nuove sponde. Prevedibile quindi che a nulla valesse accompagnare il giovane aspirante sindaco al cospetto di Berlusconi per farlo tornare nel calderone del centrodestra. Tentativo esperito, lo ricordiamo, dalla senatrice Adriana Poli Bortone.
Cambiamento predica Carlo Salvemini, che prova di riportare il centrosinistra alla guida di Palazzo Carafa. L’ultimo che ci riuscì, oltre vent’anni fa, fu suo padre. A Salvemini junior non giovano però i fallimenti del Partito democratico, né è certo che il suo elettorato sia rinvenibile anche fuori dai salotti radical. Là dove si annida la «convinzione di detenere una superiorità morale, ideologica, culturale fondata sulla pretesa di rappresentare il senso della storia e del progresso, rispetto ai barbari oscurantisti, che invece rappresenterebbero il passato e l’errore». Così Marcello Veneziani descrive nel libro “Contro i barbari” i campioni del razzismo etico. Ma a Lecce si impone un’altra considerazione: la gente più bisognosa ha scelto il centrodestra per ottenere qualche favore da chi comandava indisturbato. Chissà forse Salvemini riuscirà a conquistare la fiducia della “povera gente” girando per i quartieri più trascurati di Lecce. Lo vediamo nelle periferie, come se a un consigliere comunale di una piccola città occorresse una campagna elettorale per conoscere i problemi dei relativi rioni.
Non è stata una politica all’insegna della “povera gente”, quella di Palazzo Carafa. Diritti dei cittadini diventati favori, irrilevanti condizioni per le iniziative imprenditoriali, imperdonabili negligenze. I partiti che hanno amministrato Lecce si sono affidati al debuttante Mauro Giliberti per conservare il comando della città. Il giovane giornalista è rimasto intrappolato in una situazione kafkiana: deve promettere discontinuità con l’amministrazione comunale uscente per captare i voti dei tantissimi cittadini scontenti, ma corre rappresentando i partiti responsabili di tale diffusa insoddisfazione. Venerdì i candidati sindaci si sono confrontati pubblicamente al teatro Paisiello, nel capoluogo salentino. Tutti critici verso l’amministrazione comunale. Mancava solo lui, Giliberti. Era impegnato in un altro incontro, nelle vicinanze del duomo. Forse sarebbe stato un po’ in imbarazzo accanto al fuoco di fila contro il centrodestra cittadino. L’altro ieri i candidati sindaci hanno concordato sul fatto che i cittadini non debbano rivolgersi al Comune per ottenere gentili concessioni, né debbano ringraziare gli amministratori se viene soddisfatto un loro diritto. Così è stato, invece. Dunque, sebbene nelle tante liste in gara figurino i più disparati tipi di aspiranti consiglierei comunali, non si comprende per quale divina forza o incrollabile volontà umana ora la “povera gente” si svincoli dal ruolo di elemento marginale della campagna elettorale. Forse Giliberti riuscirà a raddrizzare il centrodestra?
Certamente prima o poi dovrà fare i conti con gli appetiti di chi lo ha mandato in campo. E allora chi sceglierà quale assessore? Parte di quegli amministratori che hanno seminato malcontento? O non gratificherà affatto coloro che hanno ottenuto molti voti, probabilmente assessori e consiglieri uscenti? E, sull’altra sponda politica, Salvemini sindaco chi porrà al suo fianco? Il centrosinistra locale recentemente non ha sfornato molte facce nuove, a disposizione sembra ci siano quelle ormai storiche: non proprio l’ideale squadra per il necessario rinnovamento della politica.
Il cambiamento è auspicato anche da Fabio Valente, candidato sindaco per il Movimento 5 stelle, nel quale si mescolano protagonisti e figuranti, nel melting pot di ispirazioni ideologiche tipico del partito grillino. Al seguito dell’architetto leccese si muovono individui non gravati dal peccato originale di fallimenti nell’amministrazione cittadina. Se questo è un punto a favore, in senso contrario pesa il fatto che Valente sia un illustre Carneade della politica.
Vogliosi di cambiamento sono anche gli aspiranti sindaco di contorno. Pure loro convinti che Comune e Università del Salento debbano collaborare, che il filobus costituisca un problema, che la politica debba essere al servizio dei cittadini e che bisogni curare le marine. Ma Luca Ruberti, candidato di Lecce bene comune, lo ricorderemo, forse, più per la sua polemica contro i saluti romani esibiti in pullman a gennaio dai militanti salentini di Fratelli d’Italia che per punte di originalità del suo programma elettorale. Walter Ronzini invece è sceso in campo, a due mesi dalla elezioni, per riaccendere a Lecce la fiamma del Movimento sociale italiano – Destra nazionale, ma rappresenta un doppione di CasaPound Italia, partito che invece è agli inizi delle prove elettorali e che ha candidato alla poltrona di sindaco Matteo Centonze .
Anche questa volta, candidati minori a parte, la gente che sta bene (per dirla col titolo di un film) promette aiuto alla “povera gente”, senza troppa credibilità.