È da oltre dieci anni che la ministra Bellanova fa parte del Parlamento, gestisce crisi industriali e ricopre incarichi di partito. La sua è una carriera politica che vede dietro di sé innanzitutto una storia personale svolta nelle campagne di Puglia; decine di stagioni di lavoro nei campi, anni di lotta e di sacrificio, anni di chi affonda le mani nella terra, di chi sente i dolori di una mortificazione ancora più feroce del mal di schiena, che pure pesava.
Anni di chi avverte il caldo soffocante di un sole lontanissimo dalle spiagge alla moda, che non batte solo sui campi, ma soprattutto su un intero esercito di braccianti e lavoratori sfruttati. Lei stessa, infatti, dall’età di quattordici anni, cominciò a far parte della manodopera a basso costo che operava per quel grande intermediario meglio conosciuto come caporalato: un fenomeno le cui vittime non furono solo migranti, ma anche cittadini dell’Est asiatico e del Sud Italia, un’attività concentrata nelle mani della criminalità organizzata per giri di miliardi.
Parliamo di un’agromafia per cui migliaia di uomini e donne si spostavano nelle province limitrofe, senza diritti sul luogo di lavoro e con stipendi salariati al minimo. Una storia, la sua, che ricorda quella di Di Vittorio – altro grande esempio di sindacalista al fianco dei lavoratori più sfruttati -, e che pone una pietra miliare alla lotta verso quella piaga medievale che è il caporalato, la ferita degli schiavi senza diritti. La dignità di un decreto sulla regolamentazione dei migranti, raggiunto con estrema fatica e con le lacrime sommesse di una donna che ricorda tutto il suo passato e quello di migliaia di persone.
Semplice e umana.
“Per gli italiani mai nessuno che versi una lacrima”. Ecco che affiora il “noismo” in una contrapposizione stantia e noiosa, in una lotta sempiterna tra ultimi e penultimi. Come se i diritti degli uni limitino quelli degli altri, come se riconoscere una tutela possa avere i suoi limiti nella nazionalità.
In un mondo in cui si fa la gara a mostrarsi più disumani, le lacrime di Teresa Bellanova sono sembrate poesia.
Finte o vere, di tensione o di amore, di propaganda o sentite? Ce lo dirà il futuro. Intanto – non fosse altro che per trovare un momento di cesura dalla barbarie che ci circonda – forse a quelle lacrime bisognerebbe dire grazie.