Lecce – Ieri sera, mentre all’interno del Teatro Politeama, la quasi totalità del partito democratico salentino si stringeva attorno al leader Matteo Renzi, all’esterno, nel mondo reale, varie anime contestavano, in un’atmosfera surreale, creata dalla pioggia e dagli sbarramenti stile anni 70, tutto il contestabile dell’azione di questo governo riguardante: scuola, lavoro ed opere pubbliche. Il Presidente del Consiglio è arrivato in teatro da una entrata secondaria, evitando in un colpo solo la stampa, che lo attendeva all’ingresso principale, le contestazioni degli operai della Palumbo, dei docenti e dei comitati per il No, tenuti a distanza dal Politeama da un poderoso spiegamento di forze dell’ordine.
Con il suo abituale look, camicia bianca e cravatta in ossequio all’abc del bravo comunicatore, il one man show più bravo del momento, dopo alcune battute ed i saluti ai parlamentari PD presenti in sala, è passato all’analisi del contenuto del quesito referendario, facendo una premessa sul ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo.
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Non manca, e sarebbe stato strano se non ci fosse stato, un passaggio sulla situazione politica della giunta di Roma: “A me dispiace quello che accade perché, prima di essere segretario del Pd, io sono un cittadino e sono triste se un assessore della capitale non dura più di un giorno. Io ho dato la mia disponibilità al sindaco di Roma a fare tutto il possibile”. Per poi soffermarsi sul frammento di un video di Grillo in cui criticava l’Expo del quale il leader pentastellato preconizzava il fallimento totale che invece ha registrato ben 21 milioni di visitatori. Tutto questo per dire che le urla servono a catturare attenzione ma governare è ben altra cosa.
Il Premier è passato poi all’analisi del quesito referendario; si è cominciato dal “Parlamento più numeroso e costoso dell’Occidente e quel bicameralismo paritario che in fondo nemmeno i padri costituenti volevano, ma che fu frutto di un compromesso il 9 settembre del 1979; in un celebre discorso, fu Nilde Iotti a dire basta al bicameralismo così com’è”. Naturalmente non è mancato neanche l’attacco alla vecchia guardia, tutta schierata per il no, chiosando: “Votare no è legittimo, ma significa tenere l’Italia nella palude”.
È seguita l’analisi dei singoli punti del quesito referendario, tirando fuori dal suo fornitissimo repertorio un paragone per definire il bicameralismo paritario paragonandolo ad un’assemblea di condominio. Accenna all’instabilità tipica italiana, che da sempre affligge il Belpaese, con 63 governi in settant’anni di storia repubblicana. “L’idea di ridurre il numero dei parlamentari da 945 a 730 a me sembra il minimo sindacale” conclude Renzi, passando al secondo punto del quesito. Contenimento dei costi e sulla soppressione del Cnel “In 70 anni ci ha mangiato l’equivalente di un miliardo di euro”. Passaggio volante anche sul titolo V della seconda parte della Costituzione competenze Stato Regioni, con un accenno polemico al tema della bicamerale tra D’Alema e Berlusconi allo stato delle cose quartier generale del No.
Avviandosi alla conclusione continua: “Io conto su fatto che questa riforma deve essere solo illustrata, chiedo a tutti voi uno sforzo civile e civico. Chi è per il no gode del nostro rispetto, ma se qualcuno di voi pensa che questa riforma sia importante per il futuro, per i nostri figli, per il ruolo del nostro paese, vi prego diamoci una mano. Raccontiamo perché serve questa riforma”.
Alla fine del suo intervento il Premier esce dal palco nel tripudio della sua gente che stride fortemente col dissenso che si manifesta all’esterno. Uno scontro fra il mondo a colori del Presidente del Consiglio con quello a tinte eufemisticamente grigie di quella parte di cittadini costretti a fare i conti con una realtà ben più dura di quanto è stata prospettata.