Lecce – “Ho sempre sostenuto che il poliziotto di prossimità o di quartiere, è quello che meglio esprime il modo di intendere l’attività di “servizio” della polizia locale”.
A dichiararlo, Giancarlo Capoccia, di Sentire Civico, che aggiunge: “Nutro forti dubbi circa l’efficienza e l’efficacia del progetto messo in atto dal Comune di Lecce, che vede, a partire da oggi, 4 giugno, dalle 07.30 e fino alle 21.00, l’impiego di 10 agenti appiedati che presidiano il quartiere Ferrovia-Rudiae. Tutto lascia presupporre che questo tipo di servizio, così organizzato, si presenti fallimentare. Infatti, prima di Lecce, lo hanno già sperimentato molte città, da quelle metropolitane alle più piccole, più o meno sempre con lo stesso risultato, ossia un nulla di fatto!
A Milano, per esempio, furono destinati circa 350 operatori appiedati o velomontati, come poliziotti di quartiere. Un servizio sospeso nel breve volgere di qualche settimana. Congegnato male, non è servito a nulla se non a creare insicurezza tra gli operatori della polizia locale. E questo perché certa politica ha più a cuore l’immagine che il risultato: l’importante che si vedano gli agenti -questo interessa- trascurando il fatto che un agente appiedato ha molti limiti operativi ed è esposto ad un inutile rischio.
Qualcuno è riuscito a fare qualcosa di meglio istituendo la Polizia di quartiere, agenti comunque automontati, in maniera fissa in alcune zone della città, però in grado di muoversi agevolmente ed essere efficienti negli interventi, in modo da conoscere bene il territorio presidiato, quindi conoscere bene cittadini ed esercenti, ma al tempo stesso è stata garantita loro una buona mobilità. Ma anche qui, i risultati sono stati magri.
Il nodo della questione sembra essere sempre lo stesso, ovvero quello della progettazione, che alla politica forse interessa poco. E anche a Lecce pare che l’operazione non presenti i caratteri della professionalità.
Con riferimento al caso leccese, ci piacerebbe sapere, infatti, se sono state realizzare delle mappe dettagliate che individuino le aree maggiormente esposte a fenomeni di criminalità. A ciò occorrono strumenti sofisticati, infatti, che utilizzano cartografie “georeferenziate vettoriali” ( le stesse che sono in uso presso i Vigili del Fuoco per la ricerca di persone scomparse) che sono quindi interfacciabili con un GPS e che permettono di associare ad ogni punto della città delle informazioni di vario genere.
Si tratta di “attrezzatura” per addetti ai lavori e che sono in grado di evidenziare analiticamente i vari tipi di reati disseminati nel territorio e di individuare quelli che vengono chiamati in gergo tecnico come “hot-spots” criminali, in pratica dei luoghi geografici (es. una strada, un isolato ecc.) che per varie ragioni raccolgono un grande numero di reati e sono quindi degli snodi cittadini particolarmente pericolosi.
Normalmente, nelle mappe criminali vengono indicati, parallelamente ai fatti criminali, anche realtà potenzialmente criminogene (es. luoghi di aggregazione, zone interessate dalla prostituzione) ma anche aree di concentrazione di potenziali vittime (scuole, uffici postali etc.).
Su tali mappe vengono infine inseriti i risultati di sondaggi svolti tra i cittadini rispetto alla loro paura del crimine.
Solo da questa attività minima progettuale si potranno svolgere delle analisi predittive finalizzate a prevedere in anticipo, con una certa approssimazione, il luogo dove potrebbe avvenire un certo tipo di delitto, fornendo così alle forze di Polizia delle informazioni importantissime per pianificare gli itinerari delle pattuglie e alle amministrazioni locali i punti dove collocare sistemi di sicurezza (es. videosorveglianza) o di illuminazione.
In definitiva, sarebbe auspicabile sapere i criteri e i metodi con cui a Lecce sono stati istituiti i poliziotti di quartiere. Se tutto ciò è stato preceduto da studi ed indagini accurate, con la perizia del buon padre di famiglia, tenendo a cuore il benessere dei cittadini e i loro diritti, oppure si tratta di un’operazione à forfait”.