Ci sono profumi che avvolgono la nostra coscienza, di cui crediamo non avere conoscenza, finché un leggero venticello primaverile ci accarezza il volto. Ci sono strade che percorriamo per giorni, che crediamo di conoscere e che, invece, si presentano in ordine, solo quando, qualcosa di trascendentale, divino, magico e pur ben noto nel profondo dell’animo umano, spinge noi stessi verso il senso assoluto delle cose.
Questa è la sensazione che si prova dopo aver letto “A spasso per Lecce” di Mauro Ragosta.
Lo scrittore leccese, con il racconto pubblicato nel settembre del 2013, da Salento d’Esportazione, rende omaggio alla città di Lecce attraverso un excursus storico, che restituisce consciamente e inconsciamente, il sacro valore dei tempi che furono e che, oggi, seppur a volte dimenticati, oscurati, sottovalutati, meritano sovente un’accurata attenzione.
A spasso per Lecce, non è soltanto un’escalation conoscitiva della città, ma anche e soprattutto dell’uomo e dell’animo umano, il quale, tralasciando la ragione, mette ordine dove persiste il caos e dà un senso laddove un senso non c’era, attraverso l’istinto ed il cuore.
Si tratta, in particolare, di un opuscoletto di valore, leggero, ma allo stesso tempo di grande profondità, per chi ne sa cogliere l’importanza. L’autore, in poche più di ottanta paginette, ha saputo raccogliere l’essenziale della storia del capoluogo salentino per approdare, poi, nell’essenziale dell’animo umano. Il romanzo, diletto per lo spirito, narra di una passeggiata tra i giochi pirotecnici dell’architettura leccese, dei palazzi signorili che costeggiano le vie del centro storico, da Piazza Mazzini a quella dedicata al santo patrono con lievi accenni a Sant’Irene, fino ad arrivare sul vecchio corso.
Una passeggiata, questa, programmata da Giorgio e Francesca, in una domenica soleggiata e primaverile, durante la quale, i due, dapprima intrecciati soltanto da una relazione lavorativa, scopriranno un sentimento che va ben oltre l’aspetto esclusivamente ordinario.
Spinta dall’esigenza di conoscere meglio la città in cui vive, Francesca coinvolgerà Giorgio ad insegnarle i segreti del capoluogo leccese e tra un caffè nello storico bar di Piazza Sant’Oronzo, con accenni vari alle grandi menti leccesi, tra cui Ernesto Alvino, il magliese Candido, il genio Tito Schipa, come lo definisce l’autore, Carmelo Bene e l’artista Spanò, e un sorso di prosecco lungo il corso vecchio, il protagonista soddisferà la voglia di conoscenza della collega.
Passando in rassegna gli eventi storici, che hanno caratterizzato la Terra d’Otranto dal Quattrocento ai primi del Novecento, si esaltano le doti artistiche, ma anche economiche e culturali di quella che sempre fu, seconda solo a Napoli, la più bella e caratteristica città del Meriodione: Lecce ai tempi dei Romani, Lecce dei messapi e dei bizantini, degli Unni, degli Slavi e dei pirati saraceni; Lecce dei Normanni e della Chiesa Cattolica tra francescani e benedettini; Lecce delle attività mercantili del ‘600, Lecce degli ulivi, delle vigne e del tabacco. Lecce delle eccellenze e dei primati d’esportazione. Lecce, vittima delle volontà politiche e della storia, ma sempre piena di entusiasmo ed intelletto.
E tra realtà svelate e ammirazione verso ciò che credevamo di sapere, ecco che l’animo umano si abbandona, si allontana dalla ragione, per scoprire quel senso di assoluto, di divino, di trascendentale che ci fa amare senza ragione. Ed allora il pensiero si abbandona al volere della natura e dell’anima, così come le città si abbandonarono al corso della storia. Lecce vittima della storia, così come la ragione è vittima dell’anima, dinnanzi alla quale nessun grande intelletto, neanche la ragione stessa, potrà mai riportar vittoria.