L’amicizia che nasce tra i due giovani protagonisti, Corrado ebreo, Leandro ariano, entrambi quindicenni, si colloca tra il 25 luglio 1943, caduta del fascismo e i quaranta giorni successivi, fino al 16 ottobre, quando avvenne la razzia di oltre mille cittadini ebrei nel quartiere ebraico e in tutta la città.
Sullo sfondo di una Roma devastata dalla guerra, dall’odio, dall’incertezza, il 25 luglio fa nascere negli italiani la speranza che i conflitti stiano per terminare, e negli ebrei quella che vengano revocate le leggi razziali, promulgate nel 1938 da Mussolini.
Corrado è povero ed ebreo, ha vissuto l’emarginazione, frequenta la scuola ebraica ma sogna di frequentare il liceo “Visconti”, nutrendo la speranza di poter essere riammesso, ad ottobre, nella scuola pubblica.
Leandro è ariano, di buona famiglia, proviene dalla provincia, ma vive a Roma con un’anziana prozia, vicina agli ambienti vaticani, e frequenta il liceo. Si conoscono in un momento particolare, fatto di grandi incertezze, in quanto nessuno può predire ancora le conseguenze della caduta del fascismo e l’evolversi della situazione. Dopo una iniziale diffidenza da parte di Corrado, tra i due ragazzi, entrambi soli, anche se per motivi diversi, insofferenti nei confronti dei propri genitori, nasce un’amicizia che scandaglia gli stati d’animo di questi due personaggi. Leandro è inizialmente sbalordito dalla confessione di Corrado di essere ebreo. È affascinato dagli ebrei e dalla loro cultura. Corrado, dal carattere ribelle e impaziente, inizialmente si sente offeso dalla curiosità intellettuale di Leandro, perché è incerto sul suo futuro e su quello della sua famiglia. Questi due ragazzi, che appartengono a mondi diversi, sono animati dalla curiosità di conoscere l’altro. I sentimenti nel corso del romanzo si rivelano pian piano, più che attraverso le parole, grazie ai silenzi, appunto perché “il silenzio ha braccia abbastanza lunghe per abbracciare tutto”.
Il reciproco bisogno di conoscersi induce alla fine i due protagonisti a desiderare di vivere nel mondo dell’altro, sostituendosi a lui. Per essere vicino all’amico, e poter studiare con lui, Leandro si fa rimandare in latino e greco e questo offre ai due la possibilità di trascorrere insieme, studiando, l’estate del 1943.
Oltre ai due amici, il terzo protagonista del romanzo è il braccialetto d’oro che apparteneva alla madre di Corrado e che rappresentava la storia passata e benestante della sua famiglia. Quando i tedeschi chiedono 50 chili d’oro in 36 ore agli ebrei di Roma, in cambio della salvezza, Corrado, che spera nel braccialetto per riavere la libertà di frequentare il liceo tanto desiderato, scopre che i suoi non lo posseggono più, in quanto lo hanno ceduto ancor prima di poterlo consegnare ai tedeschi. Quindi la speranza, l’attesa e l’incertezza assumono gradualmente i toni della tragedia. Ma la verità non è quella che sembra.
Lia Levi, scrittrice, nata a Torino nel 1931, vive a Roma. Ha diretto per trent’anni il mensile ebraico Shalom. Nei suoi libri, come in questo, parla degli ebrei non deportati, che grazie agli amici sono riusciti a sfuggire ai campi di concentramento. I suoi genitori oltre a salvare se stessi, salvarono lei con insieme alle sue sorelle, facendole frequentare, con il falso nome di Maria Cristina Cataldi, la scuola cattolica in un convento di suore.
I suoi racconti vogliono essere memoria, perché, anche a distanza di settant’anni, non si perda il senso di un dramma che segnò, insieme alla storia dei popoli, le vicende di milioni di individui che videro sconvolta la propria vita.
Spiega la Levi che la forma del romanzo è quella più appropriata per raccontare le vicende storiche, filtrate attraverso i personaggi con i quali per il lettore è più facile identificarsi.