Incedi Piano

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Incedi Piano

L’amore come attesa, l’amore sensuale, appagato, illuso, disilluso, tradito, l’amore per se stessi: è l’amore, in tutte le sue forme, il tema dominante di questa silloge poetica. Attraverso le intense e delicate liriche di Lucia Babbo esploriamo i moti del cuore, ne cogliamo le infinite, variegate sfumature. Sorprende piacevolmente, nella lettura, l’attenzione alla fisicità, alla sensualità; del resto, come diceva Schopenauer, ”ogni amore, per quanto etereo, affonda sempre le sue radici nell’istinto sessuale…” e la nostra autrice sembra cogliere perfettamente questo aspetto dell’amore, sicché i baci non sono eterei, sono “lascivi”, l’attenzione è posta all’ “odor della tua forte pelle” e ”godere della nostra passione/è il sol pensiero che mi abita..”. Al contempo, sono cantati gli aspetti più dolci, romantici dell’amore, come in “Eternità”, dove il desiderio è quello del “per sempre insieme” e, se così non dev’essere, l’auspicio è che si possa “almeno morirne insieme”.

Protagonista della raccolta è una donna, il suo IO, forte, determinato, pur nel suo delicato sentire, nella sua fragilità. Così, quando l’amore diventa brutale, malato, bestiale, lei si difende, altera, dignitosa (nella lirica “Io”, è illuminante il passaggio conclusivo: “…mi faccio pietra/per esistere e resistere…ancora!”) e, quando è tradita, ama, con più forza e determinazione, la vita e se stessa, unica fonte di felicità, perché “Una è la vita”. E allora, l’invito, fiero: “Cammina…ti sentirai leggera/perché quella vita batte/al ritmo del tuo cuore/la tua vita/è una ed unica”.

La natura accompagna gli stati d’animo cantati, compenetrandosi con essi: le nuvole diventano filamenti di luce, oro impalpabile, la pioggia diventa miriadi di stille che purificano, ma è anche nembi cupi, minacciosi sul dirupo della vita, in una perfetta sintesi di IO e ambiente.

Incedi piano, la lirica che dà il titolo alla raccolta, è proprio un invito a sentirsi tutt’uno con la natura: “Non farti mancar un frammento di spremuta di natura”, raccomanda l’autrice, in un’esortazione dagli echi dannunziani.

Le poesie, singoli quadri, compiuti in sé, compongono una storia dell’anima che vive, ama, soffre e riama, senza mai arrendersi, pur nella consapevolezza della fatica di vivere: “Sempre sia un inno alla vita/ma ognuno deve/allenarsi a schiacciar some/che il destino ci carica addosso/come presunte colpe/come ingiuste croci”.

La silloge è composta da poesie in versi sciolti, di varia lunghezza, ricche di giochi fonici, allitterazioni; il linguaggio, fortemente allusivo e metaforico, conduce il lettore in un percorso misto di realtà, memoria, sogno, così da fargli percepire la felicità dell’ “aureo, meraviglioso contorno di questo cosmo” nei momenti di felicità, ma anche il “lercio di artigli che di me han fatto giocattolo carnale”. La costruzione della frase, ricca di inversioni e parallelismi, evoca sensazioni presenti e passate, e, tuttavia, il ricordo, se c’è, dev’essere reale, fatto di odori e immagini, mai onirico.