È manifestazione generalizzata quella di volere un mondo migliore, dove alberghino la pace, l’umiltà e la fratellanza. Fondamentali i dettati del cristianesimo sul paradiso, che facilmente sono entrati nei desiderata di tutti. E molti sono i detrattori e i critici degli aspetti negativi dell’essere umano, peraltro naturalissimi, ma banditi dalle chiese. Pochi quelli che hanno colto paradossalmente gli aspetti positivi della cattiveria, dell’istintività, anche se sublimata. Tra questi Adam Smith, il quale sottolineò come l’uomo fosse irrimediabilmente malvagio, ma da tale constatazione ne derivò che le caratteristiche umane, naturali e dunque inopportune, messe a sistema avrebbero prodotto benefici più grandi dei malefici. Ed in effetti, le sue teorie, alla base della moderna economia, hanno portato ad un benessere mai raggiunto prima dall’umanità, compreso l’allungamento della vita.
Nel mondo Occidentale, infatti, sono più di settanta anni che non vi si presentano guerre di rilievo, ma nella terminologia economica sono entrati a pieno titolo molto del lessico militare e bellico. Il confronto di fatto si disputa e si sviluppa sul mercato, tra aziende e tra consumatori, nonché tra aziende e consumatori. Ma c’è di più. Uno dei libri più venduti in Italia, negli ultimi anni, è ascrivibile a Sun Tzu – L’Arte Della Guerra – che invita all’inganno.
In tutto questo un posto principe lo occupa l’invidia che è quel sentimento che porta un individuo a voler superare e demolire chi ha una posizione di successo, o che lui reputi desiderabile. L’invidia è un peccato, uno tra i primi – si ricordi Caino – che alla base porta al non riconoscimento della propria diversità e del proprio destino. Insomma, è un ignorare nel profondo la propria persona e voler essere o superarne un’altra, che si reputa in una situazione auspicabile, un modello. Nel contempo, l’invidia porta a sentirsi insufficienti, minoritari rispetto a certe situazioni e da qui un’azione e una vita dedicate al superamento, alla scalata sociale ed economica. Si aggancia all’invidia, ovviamente, la voglia dello stupire.
Naturalmente, l’invidioso ha tutta una sua filosofia, generata per coprire questo sentimento, attraverso proposizioni socialmente accettabili. Da qui lo stato di necessità, la voglia di condivisione, l’espressione intima come panacea di tutti i mali.
D’altro canto, c’è chi, in posizione di potere e dunque anche di successo, si trova a dover rispondere a tutti gli attacchi che gli vengono dagli arrivisti, gli invidiosi che vogliono abbattere e sostituirsi a chi si trova in una posizione di preminenza e di grazia. Ne segue una sottile competizione sociale, che conduce a costruire armi esistenziali ed economiche sempre più sofisticate, sempre più evolute, sempre più incisive, per chi gioca in attacco e per chi gioca in difesa.
Superata la soglia di sopravvivenza, l’uomo comune, infatti, produce e consuma in quantità sempre crescenti prodotti simbolici. Prodotti che, in definitiva, lo rappresentano e lo lanciano in questa competizione forsennata. Oggi, non ci si alimenta, ma si degusta, non si veste, ma si indossa, non si abita si risiede. Ecco, le residenze, i look, le alchimie edule da commentare con vanto.
E la spinta dell’insufficienza generata dall’invidia apre le porte allo sviluppo e dunque, al consumo crescente, alla produzione, ed in definitiva, all’occupazione ed al lavoro. Tutto centrato sul senso dell’insufficienza e della voglia di vincere il prossimo. C’è chi vorrebbe un sistema diverso, ma tuttavia non è disposto a rinunciare ai benefici dell’invidia.
Alcuni, sin da tempi molto remoti, parla di sana competizione, ma nessuno sa tracciarne i confini da non valicare. Forse, l’unica alternativa che si pone all’avere una “sana competizione” è il rispetto delle regole condivise, siano esse leggi siano esse prassi comune. Ed in questo l’Occidente, forse, ha perso il senso dello sviluppo, il senso della crescita, che stanno avvenendo in maniera disordinata e convulsa, con effetti probabilmente devastanti sul piano dell’ecosistema.