Molto soft il dibattito sul referendum costituzionale. E questo sia da parte dei sostenitori del NO sia da parte dei sostenitori del SI. V’è una sorta di timidezza. Nessuno marca con la dovuta forza che in definitiva l’esito positivo del referendum, nel senso del SI, porterà ad una netta amputazione della democrazia e l’accentramento del potere ad una ristretta oligarchia di politici, banchieri ed industriali di prima fascia.
Qui non ci soffermeremo sugli aspetti tecnici e giuridici, di cui già tanto si discute, anche se in merito v’è molta confusione, molta approssimazione ed in sostanza molta impreparazione. E ciò sia su di un fronte sia sull’altro. In questa sede, invece, andremo a guardare la questione riguardante la democrazia, e quindi alimentarla ancora, difenderla, sostenerla, o se ridimensionarla, metterla sotto una luce più fioca.
Per tutte le fazioni, del SI e del NO, vale l’ipotesi che dal 1992 si assiste ad un rafforzamento dei processi non democratici, al progressivo smantellamento dello stato sociale, all’emersione di un nuovo potere, che si somma ai tradizionali, ovvero quello dei colletti bianchi sia nel settore pubblico sia nel settore privato: i burocrati. In tale direzione occorre ancora aggiungere che la macchina dello Stato è diventato un congegno fiscale capace di drenare agilmente dal mondo produttivo più del 55% (stima in difetto) del reddito nazionale. Ma c’è di più. Nella seconda repubblica sono aumentati i divari tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud. Guardando fuori dall’Italia, si assiste ad una velocizzazione dei processi internazionali sia in ambito politico sia in ambito economico, ma anche sociale e culturale, che richiedono una maggiore agilità dell’incedere della nostra classe dirigente, che sempre più è chiamata a dare in tempi rapidi, risposte efficaci. In sostanza, ciò che si è assistito negli ultimi decenni è ascrivibile alla polarizzazione del potere e della ricchezza, in Italia, ed all’estero una mobilità mai prima registrata sul fronte politico e sul fronte economico, soprattutto.
La vittoria del NO porterebbe a rallentare questo processo, che tuttavia appare ineluttabile. D’altro canto all’orizzonte non si intravedono alternative che possano in qualche modo far pensare ad un nuovo corso, all’interno di un processo democratico. Né la corazzata dei pentastellati ha un progetto socio politico, tale da restituire al popolo italiano i processi democratici e di redistribuzione del reddito, né la destra storica della seconda repubblica, con in testa Forza Italia, pare abbia nuove idee, nuovi progetti e nuovi metodi capaci di invertire la rotta imboccata dal Paese in tema di democrazia. Tutto lascia pensare che il No sia un voto emotivo, popolare e conservatore.
La vittoria del SI porterebbe invece, in maniera diretta ad un’accelerazione dei processi antidemocratici e di sperequazione nella distribuzione della ricchezza nazionale. Ma anche un rafforzamento della classe dirigente, che gli consentirebbe di dialogare a livello internazionale in maniera più efficiente ed efficace
Da qui, la domanda che l’elettore dovrebbe porsi dovrebbe essere: è questo il momento giusto per dare alla nostra classe dirigente forza politica ed economica per inserirsi con più vigore nel contesto internazionale, con ricadute su tutta la popolazione italiana? Oppure, questo processo di accentramento è ancora poco maturo, perché abbiamo ancora una classe dirigente terzomondista, che in consessi internazionali istituzionali consultano il cellulare in maniera compulsiva?