In questo periodo basta uscire dalle città per rendersi conto della bellezza e del miracolo della natura che ci circonda. Non è un caso se durante il mese di aprile e in primavera si può ammirare un’autentica rinascita dopo il letargo dell’inverno: tutta la natura è in fiore.
Dalla finestra, mentre scrivo, già noto alcuni alberi come il ciliegio, il susino e il melo con fiori bellissimi. Perché di fronte a tale bellezza ancora oggi si continua ad usare il proverbio «Aprile, dolce dormire» quando invece verrebbe quasi voglia di stare svegli anche la notte per assistere alla bellezza della corolla dei fiori socchiusa e a tutto ciò che accade nella natura?
Non possiamo non tener conto che aprile deriva dal latino aprilis (da aperio, aperire), ovvero aprire. Ecco spiegarsi il germogliare dei semi e l’espressione “sbocciare della primavera” che rimanda alla dolcezza e al ricordo di un pudico amore. In realtà il “dolce dormire” diventa anche un’esigenza derivata dall’arrivo delle temperature più calde e l’organismo, dopo l’inverno, ha bisogno di riattivarsi. Ma uomini e donne dormono allo stesso modo? Il sonno della donna non solo sembra più leggero rispetto a quello dell’uomo ma esprime una bellezza tale da appartenere alla sfera della beatitudine come La Venere dormiente, sensuale e sognante, dipinta da Giorgione (probabilmente completata da Tiziano).
A questo punto è naturale approdare all’amore trovando in questa stagione il risveglio dei sensi e della vita che, secondo alcune ricerche effettuate all’Università di Tromsø (Norvegia), sembra che il desiderio di fare l’amore in questo periodo si manifesti più in particolare nel gentil sesso. Il dato interessante da sottolineare è che la scienza, basandosi sull’osservazione e sull’esperimento, non di rado arriva dopo che il fenomeno è stato descritto e raccontato dalla poesia, dalla musica e dall’arte in generale.
«Ecco la primavera che ’l cor fa rallegrare; temp’è d’ annamorare e star con lieta cera»: così si esprime Francesco Landini (XIV sec.) componendo questa ballata. Un altro esempio, rimanendo nei componimenti musicali, è costituito da una canzonetta dal titolo Fa una Canzone del modenese Orazio Vecchi (fine ‘500), frate dei Servi di Maria.
Il compositore, nella dedica all’illustre cavaliere e Podestà di Bologna, Camillo Pellegrini, illustra il contenuto del brano: «l’assicuro bene, che con le consonanze della Musica le dono insieme le consonanze di tutti i miei sensi: i quali con la voce del core li promettono eterna fedeltà».
Ecco il testo e la musica come appare nella voce più acuta delle quattro voci:
Fa una canzona senza note nere
Se mai bramasti la mia grazia havere
Falla d’un tuonó ch’invita al dormire,
Dolcemente, dolcemente facendo la finire.
Per entro non vi spargere durezze
Che le mie orecchie non vi sono avezze
Falla d’un tuonó…
Ne vi far cifra o segno contra segno
Sopra ogni cosa quest’è’l mio disegno
Falla d’un tuonó…
Con questo stile il fortunato Orfeo
Proserpina la giù placar poteo,
Falla d’un tuonó…
Questo è lo stile che quetar già feo
Con dolcezza à Saul lo spirto reo!
Falla d’un tuonó …
Ci troviamo di fronte ad un testo in cui, grazie alla terminologia con riferimenti alla notazione musicale, si esprime il carattere allusivamente erotico. Trattasi di una composizione omofonica e semplice: non vi sono valori come le semiminime, ovvero la musica è “senza note nere” e non si presentano altre situazioni che rimandano ad artifici mensurali della scrittura dell’epoca.
Possiamo leggere il contenuto di questa composizione come esortazione, da parte di una donna, al proprio spasimante ad utilizzare una musica dolce e consonante non utilizzando le ‘note di passaggio’ (note nere come le semiminime, che procedono per grado, precedute e seguite da consonanze) perché esprimono dissonanze.
La donna specifica che tale maestria nell’armonizzare i suoni è non solo necessaria «Se mai bramasti la mia grazia havere» ma fornisce ulteriori modalità d’intervento: «Falla d’un tuonó ch’invita al dormire / Dolcemente, dolcemente facendola finire». Inoltre l’amante dovrà porre attenzione alle richieste della donna: «Per entro non vi spargere durezze / Che le mie orecchie non vi sono avezze» e la musica dovrà essere composta con un tono che invita a dormire.
Insomma, secondo Vecchi e dalle relazioni mitologico-bibliche nell’ultima strofa, alle donne piace la dolcezza e la semplicità, senza artifici, perché «Con questo stile il fortunato Orfeo / Proserpina la giù placar poteo, / Questo è lo stile che quetar già feo / Con dolcezza a Saul lo spirto reo!».
Quasi alla ricerca di ispirazione per la conclusione, guardo ancora fuori dalla finestra e noto la pianta di rosmarino in fiore, molto frequentata dalle api intente all’impollinazione: autentica bellezza e miracolo della natura.
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