Il 30 luglio scorso, intorno alle 22, Stefano Audisio, professore di fagotto e controfagotto presso l’Orchestra Sinfonica di Roma della RAI e docente dello stesso strumento in alcuni Conservatori, si è spento, dopo lunga malattia, a soli 75 anni. Negli ultimi tempi, pur nella sofferenza, si era avvicinato alla fede e cercava conforto in alcune persone da lui stimate e verso le quali nutriva profondo affetto. Allievo del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Torino, aveva ereditato il rigore e la dottrina dal suo maestro Giovanni Graglia che ricopriva anche il ruolo di I fagotto presso l’Orchestra Sinfonica di Torino della RAI.
Alla fine degli Anni ’70 intraprende l’attività didattica, convinto di quanto l’insegnamento della musica ai giovani possieda un valore etico ed imprescindibile per l’educazione al bello.
Proprio in quegli anni è docente presso il Conservatorio «Tito Schipa» di Lecce e, tutte le volte che si esprime con lo strumento, inonda l’ambiente di suoni e la coscienza di tutti facendo intravedere la bellezza e l’importanza di questo strumento per l’orchestra. L’8 luglio 1981 vengono conseguiti i primi diplomi di fagotto al «Tito Schipa» e gli stessi allievi suonano con l’Orchestra cittadina, fanno le prime esperienze fuori (Orchestra giovanile di Lanciano, ecc.), qualche concerto solistico, ecc., testimoniando con orgoglio gli insegnamenti impartiti dal maestro.
In seguito Audisio rientra nella sua terra (Sommariva del Bosco-Cuneo) concludendo l’attività didattica presso il Conservatorio «G. F. Ghedini» di Cuneo, formando tanti altri fagottisti, alcuni dei quali affermati professionisti in orchestre italiane e straniere. Proprio l’orchestra gli ha insegnato ad ascoltare il prossimo ed avere rispetto per tutti in nome di un’armonia con se stesso e con gli altri. Avendo suonato la fisarmonica fin da bambino, immagina sempre un controcanto da ogni melodia tanto è vivo il concetto di polifonia in tutto ciò che suona. Apparentemente un po’ burbero e comunque severo, in realtà era un uomo dolce, generoso e sempre disponibile con gli allievi tanto che a volte bastava un modo più espressivo di suonare per lasciarsi trasportare dalla commozione. Non si fermava alle note ma cercava sempre dentro la musica, avendo al contempo rispetto ed urgenza di esplicitare tutto quanto era insito nella partitura.
Per quanti lo hanno conosciuto e, per chi, come me, lo ha avuto come maestro, rimane il dolore ma anche la certezza che i suoi insegnamenti e principi continueranno a vivere attraverso la musica e i grandi valori della vita di cui egli è stato strenuo difensore.
Grazie, maestro, sit tibi terra levis!
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