L’interesse e la passione di Gioachino Rossini per la cucina è abbastanza noto. Addirittura, secondo la Gazzetta Musicale di Milano (1885): «la buona cucina e la squisita cantina furono [per il compositore] di continuo mezzi sovrani di sublimissime ispirazioni».
Il musicista pesarese per la sua straordinaria natura compositiva rappresenta uno dei pochi casi nella storia dell’opera: in soli diciannove anni (1810 -1829) scrive ben trentotto opere teatrali, tra le quali il Barbiere di Siviglia, La gazza ladra, Semiramide concludendo con Guillaume Tell per poi passare il “timone” ad altri suoi illustri colleghi. Nel frattempo, si dedica ad altro pur continuando a scrivere di tanto in tanto (cantate, inni, musica da camera, le Soirées musicales per canto e pianoforte, ecc.), composizioni di circostanza compresi i due monumenti della musica sacra, lo Stabat Mater e la Petite messe solennelle.
Per una conoscenza più diretta di questo personaggio si consigliano le classiche biografie: Vie de Rossini di Stendhal, Gioachino Rossini: vita documentata, opere ed influenza su l’arte di Giuseppe Radiciotti o la voce Rossini, Gioachino del New Grove Dictionary of Music and Musicians curata da Philip Gossett.
Ritornando alla passione de nostro musicista per il cibo, ecco alcune espressioni a lui attribuite: «Dopo il non far nulla io non conosco occupazione per me più deliziosa del mangiare, mangiare come si deve, intendiamoci», oppure: «L’appetito è per lo stomaco ciò che l’amore è per il cuore».
Conoscitore profondo dell’arte culinaria, egli fa dialogare la musica con la cucina: qualcosa di simile capiterà tra letteratura e musica con Arrigo Boito e tra arte e musica con Kandinskij. Si ricorda la famosa citazione dell’artista russo: «Il colore è la tastiera, gli occhi sono il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano invece che suona, toccando un tasto o l’altro, per provocare vibrazioni dell’anima». In particolare, per il musicista pesarese, il pensiero traslato arriva ad accennare ad un tecnicismo simbolico e divertente quasi da opera buffa. La frase del pittore russo: «l’artista che suona […] per provocare vibrazioni dell’anima» si può tradurre in Rossini come: «Lo stomaco è il maestro di cappella che governa ed aziona la grande orchestra delle passioni». Allora “sentiamo” ancora metaforicamente il prosieguo rossiniano: «Lo stomaco vuoto rappresenta il fagotto del livore e il flauto in cui brontola il malcontento o guaisce l’invidia; al contrario lo stomaco pieno è il triangolo del piacere oppure i cembali della gioia». Se i due strumenti a fiato diventano i protagonisti in cui “brontola il malcontento” spetta agli altri due a percussione a rappresentare il “piacere” e la “gioia” dello stomaco pieno; “pieno” come Don Magnifico (Cenerentola, Atto II) che ci viene presentato contornato: «Di galline, di sturioni, Di bottiglie, di broccati, Di candele e marinati, Di ciambelle e pasticcetti, Di canditi e di confetti, Di piastroni, di dobloni, Di vaniglia e di caffè».
Nelle lettere e secondo alcuni biografi si nota che i cibi e le bevande preferite da Rossini sono tantissimi. I suoi amati: i “classici macheroni” (una versione prevede il condimento con caviale con aggiunta di bottarga e burro), i cappelli da prete, ma anche ostriche, zamponi, cotechini, mortadelle e salumi, olive, vari dolci, ecc.; della frutta ama l’uva e i vini vanno bene sia bianchi che neri.
Una volta il Maestro si mise a piangere quando gli cadde in acqua, mentre era in barca, «un tacchino farcito ai tartufi», un altro cibo a lui molto gradito. Durante gli anni trascorsi a Parigi conobbe il famoso chef Antonin Carême e, anche grazie alla loro amicizia, il musicista riuscì ad orchestrare meglio le sue “partiture culinarie”.
Nel 150esimo anniversario della morte del compositore, avvenuta a Passy – Parigi nel 1868, il nostro paese esprime l’eccellenza nei più svariati campi, dalla musica all’arte culinaria, e a tutto ciò che rappresenti la bellezza: caratteristiche della nostra identità, che ci rende unici in tutto il mondo.