C’è un aspetto molto importante, spesso non preso in considerazione dagli ascoltatori, che si riferisce all’esecuzione e alla composizione della musica. Entrambe possono essere concepite non solo come divertissement ma, tra le tante motivazioni, per sollevare problemi. Se in primis è successo, per esempio, con il violoncellista Mstislav Rostropovich (11 novembre 1989) suonando davanti al muro di Berlino ormai caduto, nel secondo caso ricordo Trenodia per le vittime di Hiroshima, scritta nel 1961 dal compositore polacco Krzysztof Penderecki.
Il titolo, come si evince dal sostantivo di origine greca, si riferisce all’antico canto funebre e, nello specifico, alla memoria di quella mattina del 6 agosto 1945, quando gli americani sganciarono su Hiroshima la bomba atomica causando, per effetto nucleare, oltre 100.000 vittime.
In questa occasione intendo offrire alcuni spunti utili per avvicinarsi a questa complicatissima composizione di Penderecki, ormai considerata un autentico capolavoro della musica del XX secolo.
Ciò che colpisce nell’immediato è che, pur volendo ispirarsi al canto funebre, non utilizza la voce umana ma un’orchestra formata da 52 archi con 24 violini, 10 viole, altrettanti violoncelli e 8 contrabbassi tanto da poterla immaginare come ‘canto degli archi’. Pur in un contesto diverso il musicista polacco fa un’operazione simile con quella tradizione, iniziata da Felix Mendelssohn nel ciclo dei Lieder ohne Worte (Romanze senza parole), di scrivere composizioni di riferimento vocale per uno e/o più strumenti. Un altro aspetto che colpisce, proprio perché si riferisce al canto, è quello di non trovare il melos, inteso in senso tradizionale, ma qualcosa che somigli ad un aggrovigliamento di linee e di suoni al cui interno possiamo rintracciare il lamento, il pianto, e tutto ciò che possa esprimere il dolore causato dalla guerra.
Se per l’uso degli strumenti, grazie alla sua capacità di far dialogare tradizione e innovazione, Penderecki guarda sia alla tecnica della policoralità antica, per la scrittura per archi si sente una certa ascendenza bartokiana che lo porta a proiettarsi verso nuove sonorità espressive. Ma per esprimere ciò i mezzi tradizionali (compresa la scrittura) risultano inadatti e quindi eccoci immaginare questi archi suonati al di là del ponticello, dei glissati, quarti di tono e altri effetti fino ad arrivare al cluster, il tutto espresso attraverso una grande varietà delle dinamiche. La stessa durata dell’esecuzione, nonostante che il tempo sia espresso in secondi e non in battute, può oscillare tra 8’, 37” e 9’, giusto il ‘tempo’ per percepire tutto il dolore e la rabbia dell’umanità contro simili barbarie.