Gennaio: aria con da capo. Qui ed ora, tutto ricomincia e nel vorticoso incedere del tempo tutto torna. Torna il ricordo doloroso di un’ antica vergogna che da oltre 70 anni chiamiamo Memoria…
Sul palcoscenico della Shoah scorrono film, documentari e musica, tanta musica per raccontare l’olocausto, ma poco ancora si conosce di quell’ ampio repertorio di musica scritta proprio nei campi di concentramento. A Francesco Lotoro si deve riconoscere un importante lavoro di recupero e catalogazione della cosiddetta “musica concentrazionaria”.
Numerosi sono i musicisti e compositori che nei campi di sterminio hanno scritto e prodotto pagine dolorose destinate a diventare il requiem di quei giorni sospesi tra la vita e la morte.
Ai prigionieri era solo concesso di comporre melodie in linea con quell’estetica “musicale-razziale”, che lontana dalle tradizioni nordico-ariane, era tacciata come musica degenerata e dunque capace di schernire la “razza inferiore”.
Ma la funzione della musica assolveva un ruolo ufficiale e al tempo stesso clandestino. Quello ufficiale era come dire di facciata: un’ orchestra accoglieva i prigionieri appena arrivati, accompagnava l’andata ed il ritorno dai campi di lavoro, e le frequenti visite della Gestapo.
La funzione clandestina della musica invece, era una forma di comunicazione più immediata; e poiché l’educazione era proibita, i canti e le filastrocche assicuravano l’istruzione dei bambini, restituendo loro una temporanea quanto fugace evasione a quell’infanzia rubata con l’inganno!
Nei campi “si tiravano” i pentagrammi sul terreno e ognuno ne mandava un segmento a memoria da trascrivere poi al ritorno nei dormitori su sacchi di iuta o su rotoli di carta.
Ensemble jazz e orchestre da camera erano assai diffuse in ogni parte d’Europa: i musicisti erano una categoria di privilegiati, il loro lavoro era di pubblica utilità; bisognava suonare, suonare, suonare per confondere, stordire, nascondere gli orrori, i suoni delle sirene e l’arrivo dei nuovi convogli della morte.
“Laddove senti cantare fermati e non aver paura; i malvagi non hanno canzoni”… Tutt’altro, basti pensare che la musica dei grandi compositori classici: Schumann e Grieg, Mozart o Haydn, faceva da colonna sonora e in quello spazio teso tra un filo spinato e l’altro era la musica per “rilassarsi”…
Nei lager fa da sfondo a chi ha lasciato la propria vita nel più intimo e desolante silenzio. Musica: triste contrappunto a quell’ultimo viaggio senza ritorno.
Musica: memoria lontana che oggi risuona ancora come una forma di riscatto a quell’orrore inflitto dall’uomo alla dignità dell’uomo, per i musicisti è lo strumento attraverso il quale potersi alienare spiritualmente, perché per molti di loro scrivere o comporre serviva a recuperare l’essenza di sé, a non rassegnarsi e a resistere alla completa morte dell’anima.