Riflessioni a margine del 1° Convegno di educazione alimentare sul tema: “La corretta alimentazione. Un investimento per il nostro futuro”
La quasi totalità della popolazione mondiale, al giorno d’oggi, soffre di problemi legati ad una alimentazione non adeguata. Da un lato la malnutrizione in termini di quantità delle popolazioni dei paesi poveri, dall’altra, la sovralimentazione della cosiddetta civiltà del benessere, legata alla qualità.
La salute infatti, si conquista e si conserva soprattutto a tavola, imparando sin da bambini le regole del mangiar sano.
La parola dieta, è indicatrice di un regime di vita, ossia la maniera in cui la vita stessa è strutturata rispetto a quanto gira attorno ad ogni individuo: alimentazione, attività fisica, cura personale e habitat.
Sinergicamente tutti questi elementi sono importanti ma, l’alimentarsi (il bere e il mangiare), rappresenta il bisogno fondamentale e primario da cui dipende la condizione psicofisica di un individuo, è il carburante della macchina.
Eppure, quanti di noi almeno una volta nella vita hanno parlato di “dieta” come sinonimo di riduzione del cibo e non di educazione al mangiar sano. Tanti iniziano diete rigidissime e tristi con l’animo colmo di aspettativa e molto spesso pochi risultati o fallimentari rese. Ecco che, da primaria fonte di piacere, gratificazione e consolazione, il cibo, diviene causa di malessere fisico ed emozionale vivendo con esso un costante rapporto di odio-amore. L’uso del cibo, può quindi esulare in maniera significativa dal bisogno di nutrimento fisico e divenire nutrimento delle proprie parti insoddisfatte, bisognosi di sentirsi amarti e adeguati. L’importanza associata ai primi gesti del nutrirsi, proprio in virtù della valenza archetipica che questo porta con se, diviene chiaro nell’espressione delle problematiche “adulte” legate al cibo.
Anoressia, Bulimia e Obesità, hanno in comune l’elemento tipico della mania. Dalla ricerca avida di un oggetto, dalla segretezza degli atti, all’offuscamento della ragione, ai sensi di colpa, alla vergogna e infine, ci si augura nel migliore dei casi, al sano proposito di iniziare una nuova vita.
L’abbuffarsi o il rifiutare il cibo, dipendono quasi sempre da un disequilibrio interno, da forme di insicurezza, da stati di abbattimento, dal tono dell’umore, insoddisfazione, solitudine, stress e ansia. La vittoria nei confronti di un’alimentazione scorretta deve necessariamente soggiacere al riequilibrio dei sentimenti, delle emozioni che intervengono nella nostra vita. Solo attraverso un ordine della nostra sfera emozionale saremo in grado di ristabilire il giusto rapporto con il “mangiar bene”. Ma il compito è arduo e di difficoltosa realizzazione. La civiltà di oggi,ci pone di fronte a modelli che poco corrispondono al nostro vivere quotidiano dove, si è continuamente sollecitati all’ approcciarsi a sempre nuove tentazioni alimentari con immagini di cibi fragranti e succulenti, proposti da modelli di casalinghe, donne, uomini, famiglie che rasentano la perfezione e lontani dal vero modello sociale. Il cibo si arricchisce di ulteriori significati alcuni dei quali universali e legati all’emozione (coccole, gratificazione , famiglia) altri culturali legati ai rapporti umani ( lo star bene insieme, il vivere con allegria, il ritrovarsi). Ecco che anche la scelta che si fa nell’acquistare questo o l’altro prodotto, si associa ad un significato aggiunto al valore del cibo stesso. L’incontro con amici grazie ad un gelato, una famiglia felice con i biscotti, la sensualità con un cioccolatino. In questa fitta rete, i primi a cadere, sono soprattutto i bambini, vittime inermi dipendenti da merendine, gelati e creme spalmabili.
Senza accorgercene, arricchiamo il cibo di altri significati che non sono quelli del nutrimento. Generalmente, le difficoltà nella sfera alimentare si ritrovano nel tran tran di molte persone prese tra il lavoro, i figli, le quotidianità domestiche, in cui le tensioni da sostenere, l’immagine da dare e il controllo emotivo da esercitare su di sé, senza mai perdere la pazienza, possono portare ad un uso poco sereno del cibo che, diviene l’unica valvola di sfogo e gratificazione immediata, la cartina al tornasole dove si rilevano le tensioni, le difficoltà relazionali il rapporto con se stessi, non riuscendo tra l’altro ad eguagliare i modelli di perfezione estetica e fisica proposti dai media ed impossibili da raggiungere. Così si creano vere crisi di astinenza nei confronti in quel determinato cibo, basta acquistarlo e metterlo in bocca che portiamo la soluzione apparente dentro di noi, ci calmiamo per un po’ e ingrassiamo sempre di più.
Le prime scelte per molti, sono orientate verso le tanto pubblicizzate soluzioni veloci e neanche tanto economiche in un mix di dieta, farmaci e integratori, prodotti utili, ma a cui non può essere delegato il compito del cambiamento. Va fatta una assunzione di responsabilità per la voglia di cambiare la propria vita, acquisendo la conoscenza su come farlo e il sostegno a farlo.
L’idea che per iniziare ci voglia rigore e forza di volontà non porta lontano, si regge per un po’ ma poi ci molla. Bisogna trovare l’ispirazione dentro di sé , la motivazione a dimagrire.
Dimagrire è l’arte di spogliarsi dalle proprie zavorre, dal bisogno di proteggerci, è l’arte di incontrare noi stessi.
Puoi impegnarti a perdere tutti i chili che vuoi ma, se non ascolti la tristezza, la solitudine, lo sconforto, l’insoddisfazione che ti hanno riempito il piatto, tornerai presto sconfitto e al punto di partenza, accusandoti, tra l’altro, di poca perseveranza e facendo accrescere i tuoi sensi di colpa.
Meno ascolterai la tua anima, più questa sarà costretta a farsi sentire con un infinito elenco di emozioni messe a tacere e soffocate dal cibo che, diventa la nostra invisibile ancora di salvezza e di consolazione e, in men che non si dica, abbiamo perso il controllo nella difficoltà, di non riuscire a privarci.
Una situazione di disequilibrio, diviene quindi visibile e sperimentabile nel corpo. Nessuno però può sentirsi bene ed in salute se non, caricato della consapevolezza che non siamo fatti solo di corpo, ma anche di spirito e mente, ed è proprio il conflitto di questi ultimi a creare la malattia. La malattia, diventa perciò il risultato di un’azione errata , diventando una lezione che ci invita correggere il percorso della vita e ad armonizzarlo con i principi dell’anima e che scompare quando, attraverso il dolore e la sofferenza, s’impara la lezione di vita.
Quando ci si trova ad interagire con chi è in sovrappeso, si avverte inequivocabilmente, il suo disagio, la sua frustrazione, la mortificazione e la lotta interiore a voler cambiare e non riuscirci. Scegliamo di realizzare noi stessi, ascoltando le sole ragioni dell’anima, mastichiamo la vita e non permettiamo agli eventi che possono modificare il nostro stato emozionale di mangiarci l’allegria, la gioia, la felicità l’amore che abitano il nostro spirito.
“La gente teme quello che ha dentro, ma è l’unico posto in cui troverà tutto quello che serve” (Pascal Neveu).