Il punto di vista
Qualche giorno fa se ne è andato Giulio Andreotti. È stato di sicuro uno dei simboli della cosiddetta Prima Repubblica, di quell’oscuro periodo di segreti di Stato, e proiettile, ed esplosioni. È stato il nostro periodo più tenebroso, senza dubbio. E tante volte, in tanti processi e da tanti pentiti, è stato fatto il suo nome.
Con la sua morte, tutti i suoi colleghi politici si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni ai microfoni di fronte a telecamere o taccuini. E quel che è sconvolgente è che quasi tutti sembravano aver paura di dire qualcosa di troppo male. Tanti ne parlavano pure bene, descrivendolo come grande statista, un uomo onesto e probo in un periodo di tensioni interne ed esterne (non dimentichiamo che era stata proprio la Guerra Fredda a dividere il mondo e le nazioni, Italia compresa, in una contrapposizione tra i blocchi filo-sovietici e filo-americani).
Ma tutti questi elogi non sono arrivati solo da Casini, il quale presiede il partito che è l’erede naturale della vecchia DC, ma anche da rappresentanti di altri partiti. Tranne poche voci fuori dal coro, la dichiarazione più forte che si è sentita è stata “sarà la storia a giudicarlo”.
È comprensibile e condivisibile il rispetto verso chi non può più rispondere, ma sembra aver dimenticato che Andreotti è stato riconosciuto in tribunale come colluso con Cosa Nostra. E per molti anni oltretutto. Sembrano tutti essersi dimenticati che i contatti coi boss mafiosi sono stati accertati, come la sua concussione fino almeno al 1980. Sembrano essersi dimenticati di persone come Piersanti Mattarella e tutti coloro che, contro la mafia, hanno combattuto, e spesso hanno pagato a caro prezzo questa battaglia.
Ma perché tutti cercano di dire il minor male su Andreotti? Perché il suo nome, anche ora che non c’è più, continua a far paura e a mettere in soggezione? Perché il modo andreottiano di procurarsi voti è valido ancora per molti politici? Perché, per cristiana carità, nel momento della morte non si dovrebbe parlare male di nessuno, a prescindere da ciò che ha commesso in vita?
Ma se fosse davvero l’ultima delle ipotesi quella reale, cioè quel tacito revisionismo che serve a far passare il momento senza doversi esporre troppo, non è un’offesa tremenda a chi di mafia c’è morto, e continua a morirci anche ora?
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