Il punto di vista
Una mia amica mi ha fatto leggere una testimonianza di una sua amica turca, nella quale spiegava il perché delle ribellioni che stanno scuotendo il paese.
Ora io proverò a riassumerle, nella maniera e più chiara possibile.
Tutto è cominciato con la prima protesta pacifica per salvare il Parco Gezi. Si era infatti deciso di ricostruire la storica Caserma Taksim, un immenso edificio militare andato purtroppo perduto più di un secolo fa, a seguito di un pesantissimo incendio.
Neanche la sua riconversione in stadio, il primo in Turchia per il calcio, è durata molto. Infatti dopo 30 anni è stato definitivamente chiuso per i lavori della piazza antistante, per l’appunto Piazza Taksim. Comunque, subito dopo l’approvazione del progetto di ristrutturazione della Caserma – il che aveva garantito il superamento delle leggi ambientali e di tutela del verde grazie alla motivazione storica e culturale – il tutto è stato poi accantonato e ridiretto verso la costruzione di un centro commerciale.
Come avrebbe potuto essere altrimenti? Al momento della delibera del progetto di ricostruzione della caserma non restava alcuna parte da poter restaurare.
Gruppi ambientalisti e anche semplici cittadini sono scesi a centinaia nella piazza e nel parco per protestare pacificamente contro il progetto del centro commerciale. E il governo turco come ha risposto? Con una violenza tale da far esplodere rivolte in tutto il paese, trasformando le manifestazioni pacifiche in scenari da guerriglia urbana.
Nella testimonianza che mi è stata partecipata, veniva spiegato come per i manifestanti turchi ora Parco Gezi è diventato un vero e proprio simbolo, la bandiera di un popolo che si contrappone agli interessi dei pochi e degli amici dei potenti. È diventato un obiettivo e un inizio. È diventato l’emblema sotto il quale si raccolgono per urlare che gli interessi di tutti vengono prima degli interessi dell’uno.
Il governo turco naturalmente non è stato a guardare. Il premier Erdogan si è reso colpevole non solo di continui insulti ai manifestanti, ma di una efferatezza della quale persino un dittatore dovrebbe provare profonda vergogna. Il conto dei morti tra i manifestanti è già salito a 5, più centinaia di intossicati dai lacrimogeni o feriti dai barbari pestaggi e migliaia di arrestati, tra i quali gli avvocati che li difendevano. Ora si è detto disposto ad ascoltare l’esito dei referendum, ma ciò cancella forse quanto le forze dell’ordine hanno fatto finora? O forse ora che il paese è sull’orlo della guerra di classe e dopo aver ricevuto le condanne sia dall’Onu sia addirittura dall’America, paese che non è mai stato molto gentile coi dimostranti (dai pacifisti contro la guerra del Vietnam agli arresti contro i gruppi di OccupyWallStreet), il suo scranno comincia a diventare improvvisamente troppo scomodo?
Comunque in Turchia stanno dimostrando che un popolo vale molto più di chi lo governa, e che le decisioni sbagliate non possono essere imposte senza temere conseguenze.
Ma, per tornare al titolo di questo articolo, la Turchia è da considerarsi europeizzata? In fondo è proprio la lamentela che in tanti muovono contro il suo ingresso nella Comunità Europea, cioè la sua profonda diversità culturale. In fondo però anche noi siamo sempre stati pronti a manifestare, e spesso il tutto anche qui si è risolto a manganellate e lotte tra dimostranti e forze dell’ordine. Qualche giorno fa ad esempio il sindaco di Terni si è ritrovato con la testa rotta da una manganellata durante una manifestazione per il lavoro, a seguito di quella che è chiamata “carica di alleggerimento”, che altro non è che un ricordare chi ha la libertà di esercitare la violenza e chi ha la capacità di fare del male, e, perché no, magari se si è fortunati assistere anche ad una reazione dei dimostranti, che così passano dalla parte del torto e possono essere tranquillamente etichettati come rivoltosi violenti, oppure Black Block se sono abbastanza giovani. E prima ancora avevano fatto scalpore le manganellate a chi voleva ripulire L’Aquila dalle macerie, o protestava contro la costruzione di un inceneritore o di una discarica a Napoli vicino alle case della gente. E non dimentichiamo che un’intera valle è tutt’ora in guerra contro un progetto faraonico dai sicuri costi finanziari e ambientali mostruosi e dall’incerta (ad essere gentili) rilevanza economica e pratica.
Ma perché allora la Turchia a seguito della violenza gratuita è esplosa e noi no? Forse la Turchia non è europeizzata? Secondo me sì. Solo che non è italianizzata. E ciò mi fa una grande invidia, ad essere onesto.
{loadposition addthis}