Il sogno di una vita da Capitano

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Miccoli

In un articolo che parla di Fabrizio Miccoli, potremmo partire da quando, ai tempi della Ternana, a chi gli chiedeva quale fosse il suo sogno rispondeva con un semplice “Giocare nel Lecce e segnare un goal sotto la Curva Nord“; potremmo partire da quando, anche nella Juventus, ribadiva che il suo sogno era quello di indossare la maglia giallorossa della sua città; potremmo partire da quando, durante la presentazione a Palermo, ha detto di aver scelto il capoluogo siciliano anche perchè gemellato con il suo Lecce;

potremmo partire dalle mille volte che ha visto il proprio sogno spezzato da chi in giallorosso proprio non lo voleva, costringendolo a sentire tante offese di chi difficilmente si informa prima di parlare; a pensarci bene, potremmo anche parlare di quando, stanco di vedere infrangersi il proprio sogno, in una conferenza stampa, quando tutti lo davano per fuggitivo verso l’Australia, ha detto “io so dove voglio andare e lo sa anche il mio procuratore che si sta muovendo“: oggi quel sogno si è avverato.

Non vogliamo, però, partire da questi episodi: preferiamo concentrarci sulla partita di domenica contro il Prato che quel campione che, da ragazzino, fu scartato dal Lecce perchè troppo basso (poi lo prese il Milan che, forse, riusciva a vedere oltre l’altezza) difficilmente dimenticherà per il resto della sua vita. È il minuto sessantasette quando Parfait allarga a sinistra verso Lopez che lascia partire un cross con il contagiri. Il pallone arriva sulla testa di Miccoli che la butta lì dove il portiere del Prato Brunelli non può arrivare. Fabrizio corre subito a raccogliere l’abbraccio della sua curva, quella che ha creduto in lui anche quando gran parte del Salento gli dava del “mercenario“, bacia la maglia, si inginocchia, piange. Un minuto dopo lascia il posto a Salvi e, nell’abbraccio energico con il massaggiatore giallorosso Graziano Fiorita che va ad accoglierlo all’uscita dal terreno di gioco è tangibile la sua immensa gioia per questo goal che, come spiegato in conferenza stampa, “volevo da 34 anni più di ogni altra cosa“.

Fabrizio Miccoli è arrivato a Lecce con l’enorme peso di quella fascia da capitano con su scritto “UL” che, dal primo momento, ha dimostrato di saper portare degnamente, con orgoglio e onore. In ritiro precampionato era il primo ad uscire per correre, anche da solo, consapevole di avere una condizione fisica da recuperare, durante il periodo nero del Lecce di inizio stagione era il Capitano che a fine partita ci metteva la faccia andando a parlare con i tifosi e, ne siamo sicuri, l’avrebbe fatto anche dopo il famoso Lecce-Carpi quando nessuno lo fece. Lui lo avrebbe fatto perchè è un capitano di natura: ci sarà un motivo se in tutte squadre in cui ha giocato ha indossato quella fascia che più che un onore, per chi ne sente coscientemente il peso, è un grande onere ed impegno da rispettare. Qualcuno si è lamentato perchè “non si fa capitano uno che è appena arrivato“, ma lui nel Lecce è arrivato 34 anni fa, non è mai andato via e c’è sempre stato (quando i suoi impegni lavorativi lo permettevano) in casa e trasferta con quei ragazzi che domenica gli hanno dato l’abbraccio più affettuoso. La maglia l’avrebbe indossata anche qualche anno fa, ma non è a lui che dobbiamo chiedere spiegazioni su questo argomento.

Il calcio è bello quando regala queste emozioni, quando fa vedere quella passione che sembrava aver definitivamente lasciato il posto al Dio Denaro. In conferenza stampa, il Romario del Salento dedica il goal a tutti: alla sua famiglia, ai suoi amici, ai ragazzi della Curva e alla famiglia Tesoro senza cui “non avrei mai potuto realizzare questo sogno“. Poi continua: “è il goal di tutti“. A fine partita, tante persone raccontavano di lacrime scese dopo quel goal perchè il vero calcio è fatto di emozioni (almeno quelle non potranno vietarle), prima che di schemi, e vedere il pianto liberatorio di Miccoli è stato eccessivo per chi con il calcio ha poco o nulla a che fare, commovente per chi, come lui, ha nel cuore questa maglia e, ne siamo convinti, stimolante per i suoi compagni che giorno dopo giorno, guardando l’amore del loro capitano e dei tifosi, stanno capendo l’importanza della maglia che indossano e la stanno onorando.

A noi tifosi non resta che ringraziare quel campione di San Donato alto un metro e sessanta per averci fatto assistere ad una delle scene più emozionanti del calcio leccese degli ultimi anni. Quelli che hanno preferito, allo stadio, la tradizionale uscita del sabato sera, pur potendo rivedere quelle scene su uno schermo, non potranno mai sentire esplodere nel cuore quella gioia immensa e quelle emozioni che chi ha preferito ancora una volta i freddi gradoni non dimenticherà mai.

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