È in questo 2020 che giugno si riconosce sempre più come il mese dell’orgoglio gay, dell’accettazione e dell’autoaccettazione di persone omosessuali, bisessuali, transgender, queer e della difesa dei relativi diritti civili in un momento della storia del movimento omosessuale che, nato simbolicamente a Stonewall il 27 giugno 1969 da un primo scontro tra omosessuali e polizia, adesso “gode” di una risonanza mondiale.
“Ma il colpo di grazia, nella forma della condanna definitiva dell’omosessualità, giunse nell’Ottocento con il nascere della medicina scientifica che, con il suo sguardo puntato esclusivamente sull’anatomia, la fisiologia e la patologia dei corpi, ha stabilito che, siccome gli organi sessuali sono deputati alla riproduzione che è possibile solo tra maschio e femmina, ogni espressione sessuale al di fuori di questo registro è patologica. Fu così che l’omosessualità da “peccato” divenne “malattia”. ”
È Galimberti a discorrere a lungo sull’argomento e a parlare dell’incespicante delirio della storia dalle origini ai giorni nostri, dimostrando che paradossalmente era nella cultura greca e romana che il termine omosessualità, intesa come “amore tra persone”, ancora non esisteva.
Eppure oggi abbiamo la prova di quanto la mente possa essere una gabbia.
Viviamo con l’incessante bisogno di dare una definizione ad ogni cosa ma soprattutto alle persone e a tutto quello che è legato alla sfera antropologica. Da quando siamo bambini siamo abituati ad associare a una figura il suo nome. Lo ripetiamo, lo impariamo a memoria e lo ricordiamo per sempre. Poi segue il marchio, il soprannome, la categoria di quello che rappresenta. Tutto è una classificazione basata su regole imposte da leggi che crediamo essere universali, senza invece considerare che spesso sono pregiudizi di una società ancora molto limitata.
Il sentimento è spontaneo, il sentimento sorge, cresce, decresce, si affievolisce, palpita tra pelle e anima. Le persone vivono decenni, trasportando con sé polveri di storie, incontri, casualità, delusioni, amori. Incroci di genti e cuori destinati a trovarsi. È questo il punto: si parla di cuore, senza badare a quello che è il corpo in cui si risiede. Si parla di anime, di vicinanza, di affinità e le definizioni poco contano, così come poco dovrebbero contare le paure di chi si nasconde e vive un’intera e triste vita dietro un pregiudizio.
Un pregiudizio innato, di massa, fossilizzato nella mente di chi non va oltre a un’inutile paura. Paura del diverso, e perché? Diversi sessualmente, una volta definiti “invertiti”, gay, omosessuali. Senza i diversi adesso non avremmo la mitologia greca, i frammenti di Saffo, i lungometraggi di Pasolini, non avremmo il Dorian Gray di Wilde, l’Orlando della Woolf, o ancora i testi Di Mercury, la voce di Bowie, Elton John, Lucio Dalla per finire ai più moderni George Michael, Mika e così via.
Si parla di amore saffico, di amore tra persone dello stesso genere, una condizione ancora troppo avvolta da uno stigma e radicata nell’accezione che sia un’offesa, un oltraggio, un reato.
Io non giudico le persone per il loro orientamento sessuale, non mi sembra giusto, l’amore e le scelte altrui non tolgono nulla alle mie, la libertà e l’autodeterminazione sono valori in cui credo fortemente. Ma mi piacerebbe che per tutti fosse così, e so che non lo è.
Confido in un percorso di crescita personale e sociale, confido nella forza di chi è preposto ad educare i giovani, confido nell’emancipazione da tutti i retaggi medievali che ci portiamo dietro da troppi anni (dal lat. emancipatio -onis, der. di emancipare ‘rendere libero’), ma anche e soprattutto confido nell’umanità e nel suo progesso.