La riflessione sulla riforma costituzionale è una cosa seria. Essa richiederebbe un’attenta valutazione delle cose attraverso un confronto pacato e ragionato quasi fosse una questione intima, afferente la nostra immagine e il nostro incedere sociale; una piacevole conversazione, intesa come pratica culturale tra individuo e società, tra privato e pubblico, al fine di comprendere profondamente l’importanza che riveste l’argomento. In sostanza, il contrario dell’attuale campagna elettorale referendaria, improntata alla mistificazione e all’istigazione, e all’interno della quale vengono snocciolate alcune perle di banalità con grande serietà e apparente competenza.
Il quesito referendario cui saranno chiamati gli italiani il prossimo 4 dicembre forse nasce dall’esigenza di una rilettura sistematica della Grande Carta; l’intero interrogativo ruota attorno alla complessa e forse mai risolta questione della presunta mancata stabilizzazione del sistema. Se si vuole, un goffo tentativo da parte degli ambienti riformatori di proporre uno sbocco alla crisi istituzionale strisciante, che ha caratterizzato e continua ad accompagnare un’Italia ferma e stagnante. Malgrado l’ottimismo renziano, infatti, credo che il progetto sia di difficile, di complessa e sconsigliabile attuazione. A più di sessant’anni dalla sua entrata in vigore, è utile interrogarsi sull’opportunità delle nuove modifiche, ai fini di una riflessione e di un giudizio sul testo costituzionale, che appare tutt’ora caratterizzato da una profonda attualità. E, infatti, un’attenta rilettura della nostra Carta Costituzionale, risulta illuminante, affascinando per la ricchezza, la complessità e il rigore dei contenuti che ne confermano il carattere di espressione matura nonostante la giovane età.
Ecco perché, forse, l’analisi degli elettori dovrebbe partire da un giudizio di tipo preliminare piuttosto che di merito; una questione preliminare inerente l’opportunità e la necessità di procedere con una modifica del testo normativo di tale portata e di tale tenore. È necessario in questo preciso momento storico modificare la Costituzione? E perché modificarla? È carente la Costituzione o sono deficitari i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario?
A modesto avviso di chi scrive, la nostra Costituzione più che essere modificata richiederebbe di essere pienamente attuata.
Se è vero, come è vero, che non c’è riuscita e progresso senza cambiamento, bisogna stare molto attenti affinché quest’ultimo non diventi un facile strumento e un’utile scorciatoia per sfuggire alle proprie responsabilità: sostanzialmente un bel tappeto sotto al quale nascondere la polvere degli errori e delle omissioni che i nostri politici perpetrano da più di cinquant’anni.
Il vero problema, dunque, non è la Costituzione, ma la mancanza di etica e di capacità della classe politica.
Ecco allora come il quesito preliminare, ovvero quello reale da porsi, si palesa come un passaggio obbligato nell’iter che dovrebbe condurci al giudizio di merito del quesito referendario, palesandolo come decisamente superfluo e ingannevole.
Insomma, giova chiedersi se non valga la pena affrontare l’esame della proposta referendaria da un punto di vista nuovo e privilegiato, che superi e metta da parte per un momento la sterile ed infruttuosa dinamica dei dibattiti assembleari: il fascino delle etichette ingannatrici può diventare tendenza alla semplificazione manichea.