Mario Chiesa fu il primo “arrestato” di Mani Pulite, l’inchiesta che ventiquattro anni fa travolse il vecchio sistema dei Partiti. L’ingegnere socialista era presidente di un grande ospizio milanese quando fu ammanettato dai carabinieri, il 17 febbraio 1992, con una tangente di 7 milioni di lire in mano. Quella bustarella segnò l’inizio del terremoto legale che nel successivo biennio portò i PM milanesi a ottenere ben 1.233 condanneper corruzione e reati collegati.
Mani Pulite, l’inchiesta che ha cambiato il sistema politico in Italia, si è consumata in meno di tre anni, tra quel 17 febbraio 1992 e il dicembre 1994. Anni di crisi economica, sfiducia generale nei partiti, arresti a catena, stragi di mafia. Ma anche anni di grandi speranze in un cambiamento profondo, con l’aspettativa che potesse nascere un’Italia migliore, finalmente libera dal giogo della corruzione. Speranze poi rivelatesi illusioni, e non certo per colpa dei magistrati.
L’intera maxi-inchiesta Mani Pulite è nata da quella storia locale di malaffare politico. Mario Chiesa, presidente dello storico ospizio Pio Albergo Trivulzio, viene arrestato in flagrante, nel suo ufficio, mentre nasconde nel cassetto della scrivania una busta con sette milioni di lire in contanti. È una tangente che gli ha appena consegnato un piccolo imprenditore taglieggiato di Monza, Luca Magni, il primo che ha avuto il coraggio di denunciare le continue richieste di soldi in cambio degli appalti. Quella che gli viene tesa è una trappola. La Procura di Milano indaga per concussione (un reato simile all’estorsione) e ha convinto la vittima a collaborare. Le banconote sono state fotocopiate in Procura, una ogni dieci è firmata dall’allora pubblico ministero Antonio Di Pietro e dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. La tangente è la metà della somma totale pretesa da Chiesa: 14 milioni di lire, pari al 10% del valore dell’appalto (140 milioni) per le pulizie del Trivulzio. L’arresto “con le mani nel sacco”, come titolano i giornali, crea scandalo attorno a un sistema di potere che a Milano è dominato dal Psi di Bettino Craxi.
Come rivelerà solo un successivo atto di «proroga indagini», l’inchiesta su Mario Chiesa era in realtà in corso dall’ottobre 1991. A scoperchiare lo scandalo era stato un anziano cronista del “Giorno”, Nino Leoni: quando pubblica le prime denunce sul Trivulzio, per sospetti favoritismi a imprese di pompe funebri, Chiesa lo querela. Invece di scaricare sul giornalista l’onere di provare che ha scritto sempre e soltanto la verità, per una volta il PM di turno, che è appunto Di Pietro, decide di indagare seriamente su quell’articolo e apre un “fascicolo alternativo”: si procederà per diffamazione solo se risulterà infondata la notizia della corruzione. Quando viene arrestato, quindi, Mario Chiesa è da mesi sotto intercettazione. E dalle sue telefonate in codice Di Pietro ha già scoperto che quel politico diventato manager pubblico nasconde miliardi di lire in Svizzera, su conti battezzati con nomi di acque minerali come Fiuggi e Levissima.
Craxi si sente per la prima volta sotto assedio a Milano e, il 3 marzo 1992, tenta di circoscrivere il caso Chiesa. Intervistato dal Tg3, il segretario del Psi dichiara: «Una delle vittime di questa storia sono proprio io… Mi trovo davanti a un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito che a Milano, in 50 anni, non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione».
La frase viene riferita in carcere all’arrestato, che si sente ormai scaricato e isolato. Il 23 marzo 1992 Mario Chiesa rompe il muro dell’omertà e firma la sua prima confessione-fiume. Parla di appalti truccati da decenni. Chiama in causa decine di piccole, medie e grandi aziende. Rivela di aver diviso i soldi con politici di rango nazionale. È il primo di una serie di interrogatori che svelano ai magistrati il sistema della corruzione. Prima c’era solo il «caso Chiesa». Da quel verbale nasce Tangentopoli.
Le confessioni di Chiesa hanno l’effetto della scintilla che scatena un incendio. I primi imprenditori chiamati in causa per gli appalti della “Baggina” (come i milanesi chiamano il Trivulzio, perché ha sede sulla strada per Baggio) cominciano ad ammettere di aver pagato tangenti. E confessano altre corruzioni, allargando le indagini. Tra i politici, il primo a collaborare con i magistrati è il socialista Alfredo Mosini: subito dopo l’avviso di garanzia, si dimette dalla carica di assessore comunale e confessa anni di spartizioni delle tangenti sugli appalti dell’ospedale Fatebenefratelli, di cui era stato amministratore. Oltre a DC, PSI e agli alleati centristi PRI, PSDI e PLI, a Milano l’inchiesta coinvolge dall’inizio anche il PCI-PdS.
Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 segnano il crollo dei due partiti di massa: la DC perde 5 punti e scende sotto il 30 per cento; il PDS con Rifondazione Comunista si ferma al 26,6 (meno 4,9 rispetto al 1987). Il PSI di Craxi invece limita il calo dal 14,3 al 13,6 per cento. La Lega Nord, che in Lombardia aveva già raggiunto il 18,6 per cento alle amministrative del 1990, sfonda in tutto il Nord, conquistando 8,7 punti a livello nazionale, e manda in parlamento 55 deputati e 25 senatori, che promettono battaglia contro «Roma ladrona».
L’Italia, dicono molti storici, è un Paese senza memoria, che proprio per questo è condannato a ripetere gli errori del passato. Infatti la storia di Tangentopoli sembra averla dimenticata perfino chi l’ha scritta. La lega nel corso degli anni ha fatto presto ad adeguarsi agli operatori di “Roma Ladrona”: ne sono testimonianza gli arresti di questi giorni. Il maggior partito di Governo, quasi ogni giorno, vede indagati suoi esponenti. La stessa banda degli onesti a cinque stelle è inciampata in qualche piccola defaillance. La domanda, allora, nasce spontanea: ma dell’italiano che amministra la cosa pubblica non si salva proprio nessuno? Ai poster…