Il punto di vista
Fine gara da dimenticare quello di Lecce-Carpi e non solo per il fallimento dell’obiettivo serie B, ma per gli scontri e la violenza inaudita da parte di una frangia di tifosi facinorosi che hanno assaltato dapprima lo stadio, cercando di raggiungere i calciatori, rompendo tutto ciò che gli è capitato a tiro, e poi all’esterno con una violenta sassaiola e con il fuoco appiccato a una delle auto della Polizia e dei cassonetti nei pressi della porta 14.
E qui cade il silenzio. E sorgono le domande più spontanee: “Ma questi tifosi non sono quelli super sportivi che applaudivano la squadra a Verona, l’anno scorso, mentre retrocedeva?”.
Altra domanda: “Ma questi ragazzi violenti che hanno fatto del male agli Steward (rei solo di lavorare per pochi euro), non sono gli stessi che tutti abbiamo incensato nella partita con l’Entella, quando rendevano omaggio con una standing ovation agli avversari sconfitti?”.
Qui, qualche cosa non è chiara. I conti non tornano, e uno più uno, questa volta non fa due.
Il calcio è un gioco, è uno sport, la violenza è da bandire sempre e comunque.
Come fa un ragazzo a trasformarsi dal più bravo d’Italia in un teppista?
Basta la delusione per una promozione mancata a rendere lo sport più bello del mondo in una delusione senza dimensioni?
Vedere la paura negli occhi dei bambini mentre il poliziotto ferito saliva in ambulanza, non è certo una scena immaginata da De Coubertin che scrisse: «L’importante non è vincere ma partecipare. La cosa essenziale non è la vittoria ma la certezza di essersi battuti bene».
Ecco, è giunto il momento di un significativo esame di coscienza, da parte di tutti, nessuno giudichi l’altro, e l’altro, chiunque sia, eviti di trasformarsi da Dottor Jekyll in Mister Hide.
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