Per rapportarci al mondo abbiamo bisogno di sviluppare delle strategie di comportamento che si strutturano nel tempo. Pensiamo al pianto dei pargoli: inizialmente piangono in modo indifferenziato per esprimere bisogni molto svariati tra loro (sonno, fame, dolore, sete, ecc.); non hanno ancora la capacità di soddisfare le loro esigenze in autonomia, quindi necessitano di un richiamo che possa attenzionare gli adulti che si prendono cura di lui. Mano a mano, il bambino raffina le sue modalità comunicative e sperimenta nuovi modi per prendersi dal mondo ciò di cui ha necessità; il pianto si differenzia a seconda del bisogno sentito, si utilizzano altri mezzi corporei ed espressivi per richiamare l’attenzione, si strutturano comportamenti motori, vocali, emotivi atti allo scambio ambientale.
Con molta probabilità, inizialmente queste strategie sono state funzionali per tutti noi, quindi abbiamo imparato ad applicarle costantemente e ripetutamente, fino a che non sono diventate un comportamento “automatico”.
È così che ha preso forma il nostro “carattere” e quegli atteggiamenti tipici che ci contraddistinguono e creano il nostro “Io”.
Nonostante questi nostri modi di fare siano stati molto spesso efficaci, abbiamo continuato ad applicarli inconsapevolmente anche quando non ci hanno di certo portato ad ottenere i risultati sperati.
In questo senso, possiamo dire che il carattere di ognuno di noi è una forma di nevrosi, di atteggiamenti fissi e rigidi che spesso ci impediscono di ampliare la nostra capacità di adattarci e interagire nel modo più sano con il mondo circostante.
Infatti, la parola carattere deriva dal greco e significa “scolpire”, riferendosi quindi a ciò che nella persona rimane costante perché le si è scolpito dentro sulla base dei condizionamenti emotivi, cognitivi e comportamentali che ha ricevuto.
Diciamo che l’individuo non è più in grado di scegliere se applicare o no determinate strategie comportamentali, ma va in automatico, avviando una serie di azioni senza consultare la propria mente conscia, né considerando le situazioni di vita in maniera creativa.
Sulla base di questa teoria, la psicoterapia (in particolare quella della Gestalt) ha preso in prestito l’antica saggezza di un simbolo geometrico detto “Enneagramma” per studiare le tipologie caratteriali entro le quali poter riconoscere e rintracciare il proprio funzionamento automatico.
Semplificando l’enneagramma, si può dire che la personalità si struttura intorno a 9 modalità di base, di cui una diventa predominante nel soggetto. Solo una di queste modalità diventa pregnante e viene abusata, ma ciò non significa che non possiamo utilizzare tutte le altre.
In questo pezzo si vuole dare solo un accenno sull’enneagramma e sul come avviarsi alla scoperta del proprio carattere. Infatti, non è per niente facile inoltrarsi alla scoperta di sé, perché necessita di autocritica, lavoro, coinvolgimento emotivo e intellettuale, ma è d’impatto ed efficace lo spunto proposto dalla maggior parte degli studiosi che presentano le 9 strategie caratteriali nelle quali riconoscersi secondo uno schema semplice:
- fare tutto per sentirsi perfetti
- fare tutto per sentirsi in relazione
- fare tutto per sentirsi in vista
- fare tutto per sentirsi unici
- fare tutto per sentirsi distaccati
- fare tutto per sentirsi sicuri
- fare tutto per sentirsi appagati
- fare tutto per sentirsi potenti
- fare tutto per sentirsi tranquilli.
Qual è la modalità che vi muove, vi spinge a fare ciò che fate? Qual è quella strategia che adottate volenti o nolenti nella maggior parte della vostra avventura di vita?
Iniziare da qui, partire dal riconoscere come funzionate, quando e come andate in automatico, vi permette di scegliere se voler fare diversamente o meno.
Iniziate da qui, dalla consapevolezza di chi siete, cosa fate e come lo fate.