Il pane miracoloso di Sant’Antonio

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Il passato, si sa, è il futuro del presente e come tale regala ai posteri, la conoscenza di chi oramai non c’è più. Tutti coloro che nei secoli sono andati via da questa terra, hanno tramandando un piccolo pezzetto di sé a tutti noi; filastrocche e riti che ad oggi, visti dagli occhi dei più giovani, potrebbero essere interpretati come comune “follia” popolare che a nulla serve, alimentando così la moria di quell’antica cultura che i nostri nonni e non solo, hanno creato, donando quel senso di magia “contadinotta” che fa parte della cultura salentina.

Ad oggi, si cerca di dare una spiegazione razionale a tutto, come se fosse vietato sognare e raccontare di spiriti magici, credenze e superstizioni, buttando così nel dimenticatoio le leggende che le nostre generazioni e quelle passate, hanno vissuto per secoli. Ma nulla è ancora perduto, perché chi è nato a cavallo degli anni ’80 e ’90, conserva ancora quel ricordo di tempi passati, che le loro nonne e alcuni genitori, tengono stretti nel cuore come tesori dell’umanità. Quanti dei  trentenni e più, ricordano di aver visto le proprie nonne posare il pane di Sant’Antonio in giardino durante un temporale? Magari dopo aver citato la filastrocca ben nota che narra così:

        “azzate san giuvanni e nu durmire
         ca sta bisciu tre nuegghie caminare
         una te acqua una de ientu una de triste e maletiempu
         a mare a mare a ‘du nu canta iaddhru a ‘du nu luce luna
         a ‘du nunc’ete nuddha anima creatura…”

Come quasi ogni credenza popolare, tutto questo naturalmente ha una spiegazione logica, anzi, più che logica culturale. Infatti, l’usanza di lanciare il pane durante un temporale, nasce dalla leggenda (se così la si può chiamare), di una madre che lasciò il suo figliuolo giocare mentre si recava a casa per fare delle commissioni; una volta tornata, vide la sua povera prole morente in un recipiente pieno di acqua. Le urla strazianti della povera donna percossero tutto il paese, che si avvicinò pian piano sul luogo dell’incidente; la donna però, in preda al dolore, in un atto pieno di religiosità, chiese aiuto a Sant’Antonio, promettendo che se avesse salvato il povero figlio, avrebbe donato ai meno fortunati, ogni anno, tanto grano quanto il peso del piccolo. Subito dopo, il bambino, oramai esamine, riprese a respirare, ritornando incolume alla vita; da qui, il nostro rito e la tradizione che dona al pane la capacità di poter “interferire” con l’ambiente circostante. Ancora oggi, molti anziani, durante un forte temporale, gettano in giardino un pezzo di pane benedetto durante la festa di Sant’Antonio, credendo che la tempesta si plachi grazie ad esso. Naturalmente, sono leggende che si tramandano nei secoli, leggende utili, per non perdere la memoria di quei tempi immemorabili in cui una semplice filastrocca e un pezzo di pane, potevano intervenire nella ragnatela temporale della vita.

Classe ‘86, vive a Squinzano, piccolo paese della provincia di Lecce. Fin da adolescente manifesta una forte passione per la scrittura, percepita come insostituibile mezzo di espressione personale e di comunicazione diretta al cuore delle persone. Appassionato di arte, storia ed archeologia, cresce nel quartiere di Sant’Elia, luogo ancora ricco di mistero, dove conduce ricerche e studi su un convento del 1500, effettuando numerose e importanti scoperte archeologiche che gettano nuova luce sul complesso monastico. Scrive su diversi blog e giornali come “Salento Vivo”, “Spazio Aperto Salento”, “L’ORticA”, “Il Trepuzzino”. È in procinto di pubblicare la sua prima raccolta di scritti con Aletti Editore.

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