Santa Maria di Leuca, frazione del Comune di Castrignano del Capo, rinomata località turistica e centro abitato più a sud dell’estremo tacco della penisola, è racchiusa dai due promontori di Punta Meliso e di Punta Ristola, legati ad una antica leggenda.
Il nome di Leuca deriva, infatti, da un mito d’amore e di dolore dell’antica Grecia, una storia che vide protagonista la bianca sirena Leucasia, al cui canto melodioso resisté solo il pastore Meliso, già innamorato di un’altra donna, Aristula.
Leucasia tramò, allora, una vendetta e, quando gli innamorati Meliso e Aristula passeggiavano romanticamente sugli scogli, scatenò una tempesta violenta che li trascinò in mare, facendoli annegare.
Il sortilegio della sirena fece sì che i corpi degli innamorati finissero separati per sempre sui due lembi opposti del golfo di Leuca; ma la Dea Minerva, che aveva assistito alla scena, impietosita, offrì ai due innamorati l’eternità, pietrificandone i corpi e trasformandoli nei due promontori, che ancora tentano di abbracciarsi malgrado lo specchio d’acqua che li separa.
La sirena Leucasia, in preda al rimorso chiese di essere anch’essa pietrificata e divenne la bianca Leuca.
Sul lungomare di Punta Ristola, che sovrasta la Grotta del Diavolo, cavità di origine carsica, che misura 40 metri in lunghezza e 17 in larghezza e che conduce direttamente a mare, vi sono delle imponenti statue in pietra leccese, raffiguranti soggetti tra mito e realtà, nonché il “Trittico della Trascendenza”, gruppo scultoreo che rappresenta La Nuotatrice dei due Mari, L’Angelo del Meliso e Leucasìa, realizzato dallo scultore Mario Calcagnile.
Ma, soprattutto, su quell’intrigante e romantico lungomare vi è una snella scultura in ferro, decisamente misteriosa e che sollecita la fantasia di chi è appassionato di scienze esoteriche…
Un palo di ferro sottile vede intrecciata a sé una sorprendente silhouette fallomorfa, la cui estremità è suggellata da un lucchetto. Quella scultura richiama alla mente una certa ritualistica d’amore, di Pomba Gira o di Umbanda e Quimbanda in particolare, secondo cui per legare sessualmente a sé un uomo si deve recitare una “preghiera” al cospetto di una candela fallica e nei fumi dell’incenso.
Il rituale si conclude avvolgendo la candela fallica in un panno rosso, intrecciandoci attorno una catena e suggellando il tutto con un lucchetto, che andrà chiuso pronunciando un accorato e convinto “sei mio, sei mio, sei mio!”.
Leggenda – pagana – vuole che l’uomo concupito e stregato non riesca a congiungersi sessualmente con nessun’altra donna diversa da quella che gli ha fatto la stregoneria…
Dicunt…