L’urlo di Mario Gotze, trequartista dai piedi buoni classe 1992, è l’eco di un’onda lunga che parte da un fallimento. I fiori più belli nascono dalle macerie. La vittoria della Germania in questa Coppa del Mondo parte dall’insuccesso datato 2000 agli Europei di Belgio e Olanda. Allora, la nazionale tedesca lasciò la competizione nella fase a gironi dopo un punto in tre match, bottino magrissimo che fece sprofondare il “fussball” in una crisi profonda di risultati e di valori in campo. Dopotutto, in Germania si è abituati a ricostruire. Che cosa è rimodulare il sistema calcistico per un paese, per una classe dirigente, per un popolo, abituato a ricostruire il proprio successo dopo le macerie? Nel 1945 i tedeschi non avevano nulla: né fabbriche, né operai, né infrastrutture, solo l’onta di una dittatura capace di sporcare per secoli il nome della Germania. Il paragone, seppur ardito, rende l’idea della stoffa tedesca, resistente e capace di trainare un intero continente in questi difficili anni. La rinascita del calcio tedesco parte da una serie di diktat che riavvicinano il calcio alla sua materia prima: i ragazzi che sognano, e poi conquistano, il palcoscenico mondiale, e i tifosi. Cura dei vivai obbligatoria, club che danno lavoro alle comunità locali, quote di maggioranza delle società (a partire dalle big Bayern Monaco e Borussia Dortmund) in mano ai tifosi e sano multiculturalismo (Khedira, Klose, Boateng, Podolski, Ozil e Mustafi gli interpreti). La scelta dei vertici della DFB ha pagato sin da subito, e il trionfo mondiale di oggi, regalato proprio dal giovanissimo Gotze, è anche la vittoria conquistata con la programmazione sulla scrivania. Una vittoria di un nuovo calcio vicino ai propri consumatori principali. La vittoria del “modello tedesco” di far calcio valorizzando i propri prodotti e preferendo gli investimenti a lungo termine alle spese pazze in sede di calciomercato.
Prodigio di due sostituti– Mario Gotze, match-winner del Maracanà al 113’, e Andrè Schurrle, giovane punta del Chelsea, hanno dato il mondiale alla Mannschafft dopo esser chiamati in causa soltanto a partita in corso dal ct Joachim Loew. La quarta stella della Germania, la prima squadra europea capace a imporsi in un Mondiale giocato in Sudamerica, è frutto di un Mondiale giocato in modo splendido e in maniera molto più brillante rispetto alle altre big del torneo, compagini mai capaci di mostrare un’identità di gioco coerente e lineare. Guai, però, a immaginare un dominio tedesco anche nella finale del Maracanà, partita inchiodata sullo 0-0 fino al gol che difficilmente Gotze dimenticherà, ma bella a vedersi per il tatticismo e per i valori in campo mostrati dai due tecnici e dai 22 interpreti sul rettangolo verde.
Quei maledetti rimpianti– I tanti e delusi (centomila circa) tifosi argentini giunti in Brasile per la finale della Coppa del Mondo avranno però tanti incubi e tante recriminazioni da fare ai propri calciatori. L’Argentina, seppur lasci l’iniziativa ai ragazzi di Loew per lunghi tratti del match, ha collezionato più occasioni nella partita, palo di Howedes a parte: tutte palle-gol ad alto coefficiente di pericolosità per Manuel Neuer, il miglior portiere della Coppa del Mondo e (forse) miglior estremo difensore del globo. Lionel Messi, a secco nelle fasi finali eliminatorie, non ha mantenuto le attese ed ha fallito l’ingresso nell’Olimpo degli dei del calcio. La Pulce ha trascinato, a velocità di crociera, l’Albiceleste solo nel primo tempo, spegnendosi quasi totalmente per il resto della finale. L’idea tattica di Sabella, basata sulle ripartenze specialmente sull’asse destro, doveva essere ideale per le accelerazioni di Messi, debordante a campo aperto, ma l’asso del Barcellona è stato cancellato dalla partita maiuscola di Bastian Schweinsteiger, ora vincente finalmente anche con la nazionale dopo la Champions conquistata con il suo Bayern, e dalle chiusure maestose di Lahm, condottiero sul campo dei panzer.
Fuoriclasse presenti e assenti– Loew, costretto alla mossa a sorpresa Kramer per sostituire Khedira infortunatosi al polpaccio nel riscaldamento, non abbandona i suoi ideali tattici, ma è l’Argentina, orfana di Di Maria, a sfoderare una migliore impressione in avvio: le folate di Messi e Zabaleta fanno arretrare la retroguardia germanica, Lavezzi è autore di una partita di esponenziale sacrificio, l’Albiceleste trova spesso il cross dal fondo e Demichelis mette la museruola a Klose. La prima occasione argentina, al minuto 20, è propiziata da un errore d’appoggio di Kroos che involontariamente mette in movimento Higuaìn: il Pipita del Napoli però tira incredibilmente a lato. Alla mezz’ora Higuaìn trova anche il gol, sull’unica bella intuizione di Messi del match, ma la realizzazione è viziata da una posizione di fuorigioco ben ravvisata da Rizzoli e dall’assistente Faverani. L’Argentina soffre la persistente assenza di un metronomo a centrocampo: né Biglia né tantomeno Mascherano e Perez riescono a dettare i tempi, e il risultato è il pallino del gioco in mano alla Germania. Loew cambia pelle ai suoi con Schurrle per l’infortunato Kramer, e l’arretramento di Toni Kroos nel duo di mediana del 4-2-3-1 tedesco, vero e proprio direttore d’orchestra della metà campo fa la differenza: la Germania costruisce gioco, palleggia bene e arriva al tiro con Schurrle al 37’ che scalda i guanti a Romero. L’Albiceleste, vista la situazione, ripone tutte le sue speranze nei contropiedi, ma non riesce a pungere: Messi al 36’ è murato da Schweinsteiger e un’altra occasione della Pulce è controllata dalla difesa. Il palo di Howedes, colpito dopo il calcio d’angolo di Kroos, è il giusto bilanciamento di marca teutonica nel tabellino delle occasioni in precedenza tinto di biancoceleste.
Sugli stessi binari– Il secondo tempo si muove nello stesso modo, ma senza l’estro di Messi. Un tiro strozzato al 47’ su servizio di Biglia è l’unico squillo del “Quadri-Pallone d’Oro”, premiato (con qualche perplessità) MVP anche di questo Mondiale. Il leitmotiv è sempre quello: Germania padrona del campo e Argentina guardinga pronta a colpire in velocità. Ozil è il pesce fuor d’acqua della Mannschafft: l’ex madrileno non trova il varco giusto, ma a pochi metri c’è lo Schurrle-Mueller show: le percussioni e i tagli dei due esterni preoccupano l’argentina ma Kroos all’82’ fallisce la stoccata e Howedes, non propriamente terzino offensivo, non riesce a scodellare la palla giusta. Il passare dei minuti porta il prevedibile esito delle gambe pesanti e ogni azione è accompagnata con tanta paura: Sabella cerca di arginare Schweinsteiger e Kroos con Gago, Hummels e Boateng chiudono, la difesa argentina non va in affanno e “Schweini” lotta col cuore e con le gambe in ogni zona del campo. Si va oltre il 90’. Tempi supplementari giusti, preceduti dall’ovazione del Maracanà per la leggenda Miroslav Klose, rilevata da Gotze, pronto a entrare nella storia della Germania poco dopo, assieme alla punta della Lazio, highlander del gol nelle fasi finali della Coppa del Mondo.
Tonfo e trionfo– I supplementari, aperti dal tiro di Schurrle respinto con i pugni da Romero, vedono una Germania più sbilanciata in avanti alla ricerca del gol. I ritmi del match aumentano nonostante la stanchezza e al 97’ il mondo intero assiste al dramma sportivo di Rodrigo Palacio, subentrato a Higuaìn al 77’: il “Trenza” interista raccoglie un cross di Rojo dopo un buco difensivo di Hummels e, solo di fronte a Neuer in uscita, alza la sfera cercando un pallonetto che si spegne tristemente sul fondo. Le gambe tremano, e le emozioni giocano brutti scherzi, a parte per Bastian Schweinsteiger. La bandiera del Bayern Monaco continua a correre, distruggere e tessere a più non posso nonostante la gomitata di Aguero che gli procura una ferita al sopracciglio. È il preludio al delirio. Al minuto 113’ Schurrle parte palla al piede aprendo una falla nel quartetto difensivo albiceleste, crossa al centro per Gotze, il ragazzo giusto al momento giusto, che stoppa di petto e gira di sinistro in rete per il tripudio di maglie bianche e di bandiere a strisce nere, rosse e gialle. I ragazzi del “modello tedesco” hanno colpito, la costanza di risultati della Mannschafft, sempre presente e sempre vicina ai primi posti a ogni appuntamento, è premiata con il trofeo più ambito: la Germania del calcio è sulla vetta del mondo per la quarta volta.
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