Al suo fianco la figlia dell’indimenticabile Carlo Pranzo, Novella, dietro di lui la foto delle storico striscione che la Curva Nord gli dedicò in un momento particolare della sua vita: “Forza Dr. Peppino la Nord ti è vicino”.
Lui quello di sempre, determinato, forte, massiccio, un po’ “incazzato” per usare un termine forte ma che appartiene all’uomo, a Peppino, a quello che le cose non l’ha mai mandate a dire.
Ore 12, in via Campi 170, a Squinzano, presso il suo centro, ha iniziato così, la conferenza stampa di “congedo”, con i ringraziamenti:
«In questo momento è arrivata la fine di un lunghissimo tragitto, un percorso bellissimo iniziato nel 1977 con il grande Carlo Pranzo, ecco perché ho voluto che oggi, Novella, sua figlia, fosse al mio fianco. Il ringraziamento che faccio a voi della Stampa è sincero, amici veri che negli anni mi hanno anche sopportato. Poi voglio abbracciare i tifosi, soprattutto la Curva Nord, di cui conservo il ricordo più bello con lo striscione che mi dedicarono. Voglio ricordare, anche, gli amici di Salento Giallorosso che mi hanno perfino dedicato vari Lecce club».
Con il sorriso stampato in volto è passato ai ricordi:
«Tanti ricordi belli ma voglio iniziare dal citare i compagni di viaggio che non ci sono più: da Lorusso e Pezzella, a Iurlano, De Giorgi e ripeto ancora una volta, l’amico, il fratello, Carlo Pranzo. Degli allenatori voglio ricordarne uno su tutti, quello che un po’ sintetizza tutti: Carletto Mazzone».
Subito dopo tira fuori l’orgoglio:
«In questa conferenza voglio far sapere, mettendo da parte l’umiltà che mi ha contraddistinto negli anni, che noi abbiamo sempre lavorato con metodologie all’avanguardia, dagli allenamenti personalizzati al resto. Dico noi, perché io ho sempre avuto il culto dell’equipe. Qui con me c’è Giovanni De Luca con il quale abbiamo sempre fatto un grande lavoro, poi Laudisa, Fiorita, Soda, e se io ho espletato sempre al meglio il mio compito è grazie a loro, collaboratori unici e fidati. Tra i tanti preparatori atletici voglio citare Sassi che è stato il primo con cui ho iniziato a lavorare».
L’accento più importante però l’ha posto sulla questione “soldi”, ed è stato categorico:
«Successivamente al comunicato della società dove si leggeva il mio addio, mi ha fatto piacere leggere articoli e commenti su internet; salutare dopo 36 anni e leggere centinaia di sms mi ha inorgoglito.
Una cosa però mi ha dato fastidio: qualcuno ha detto che con il Lecce io mi sono arricchito, io posso dirvi che ho avuto tanta visibilità ma ho anche sacrificato tanto. Io ero a disposizione del Lecce h24, per non parlare delle feste, delle domeniche, dei ritiri. Ho sempre fatto con dedizione il mio lavoro, anche quando nel 2005 mi fu diagnosticata una neoplasia intestinale; programmai la chemio in base agli impegni del Lecce. Dedizione assoluta sacrificando anche la famiglia. A chi ha detto che non ho trovato l’accordo economico dico che non è vero, perché io per il Lecce ho accettato anche solo un rimborso spese. Il Lecce mi ha dato tanto, ma non soldi, se non avessi avuto il Lecce forse sarei stato un semplice anestesista».
Un fiume in piena, poi, quando ha descritto la sua idea di abbandonare come una “marea montante”.
«Ho preso questa decisione maturandola nel tempo, il perché? Semplice, a fine stagione qualcuno mi ha contestato i troppi infortuni. La mia risposta è che io curo solo la parte medica e riabilitativa e non la preparazione atletica. Sono negli anni di De Canio, curai anche la preparazione e vincemmo 15 partite nell’ultimo quarto d’ora e avemmo pochissimi infortunati, questo significa che lavorammo bene.
La cosa che maggiormente mi ha infastidito sono state le ingerenze esterne. Io rispondo del mio lavoro, ma se un calciatore senza dirmi nulla, va da qualcuno che usa metodi obsoleti che non concorda con noi, non è responsabilità del mio staff ciò che accade. Chevanton ad esempio veniva da me anche prima e spero venga anche dopo, su di lui con Giovanni De Luca abbiamo fatto i miracoli, lo abbiamo recuperato a tempo di record, a Novembre lui stava benissimo. I successivi problemi muscolari esulano dell’infortunio al tendine d’Achille. Qualcun altro invece senza dirmi nulla si è rivolto altrove. Quando ho deciso di dire basta l’ho fatto anche perché mi volevano imporre uno staff non mio, io non posso lavorare con persone che non conosco, non potevo privarmi dei miei collaboratori, De Luca in primis».
Sorride quando dice di non avere più la maglia giallorossa ma che i suoi globuli rimangono sempre giallorossi, e in tono un po’ dolce amaro continua: «Non andrò più allo stadio a vedere una partita del Lecce. Dopo 36 anni in panchina, in campo, non posso sedermi su una poltrona, soffrirei. In questi anni non mi sono godute mai le ferie con la mia famiglia perché partivo in ritiro; ieri invece sono andato con mia figlia a comprare due materassini, ci godremo il mare e il sole».
Racconta di aver ricevuto la chiamata di Fabrizio Miccoli nei giorni scorsi che gli diceva in via confidenziale di aver scelto il Lecce, che arrivava mentre lui se ne andava. «Ho risposto a Fabrizio che lo aspetto sempre qui, per qualsiasi problema, gli faccio un in bocca al lupo sincero, con lui il Lecce farà il salto di qualità. Il mio in bocca al lupo va anche a Checco Moriero, l’ho avuto come calciatore e ora me lo stavo ritrovando come allenatore, mi fa piacere per lui, e come mi mandava tanti giocatori quando stava a Crotone, gli ho detto che resto a disposizione per qualsiasi cosa».
Ha chiuso così con il saluto a Miccoli e con un esplicito: «Mi mancherà l’odore dello spogliatoio, mi sono sempre definito un medico da campo, ma ora basta così».
È il sorriso di un amico quello di Peppino Palaia, che lascia il Lecce, nell’estate 2013, ma come scrisse Franco Califano: “Non escludo il ritorno”.
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