Ci viene ricordato spesso che si allunga la nostra aspettativa di vita, in misura maggiore in Italia rispetto ad altri paesi europei. Di questo dobbiamo ovviamente essere contenti, anche se ciò porta con sé alcuni inconvenienti, dovuti soprattutto a patologie croniche quali il diabete o l’ipertensione. Aumentano anche i problemi a carico del nostro organo più nobile: il cervello. Esso è infatti sottoposto agli stessi processi di naturale invecchiamento (principalmente attraverso processi di ossidazione) che interessano anche gli altri organi, ma con effetti che vanno a ledere la lucidità dei ragionamenti, la memoria, la stessa autonomia personale. Parliamo delle varie forme di demenza, di diversa origine.
Nei paesi anglo-sassoni, riferendosi al cervello, si usa dire “Use it or loose it” (Usalo o perdilo). E questo modo di dire trova conferma sempre più anche negli studi scientifici, ultimo quello svolto da ricercatori dell’Università della California a San Francisco, e pubblicato sull’ultimo numero di Jama Internal medicine, definito Max (Mental activity and exercise).
A causa dell’aumento dell’aspettativa di vita, si calcola che nei prossimi 40 anni ci sarà un drammatico incremento dei casi di demenza e declino cognitivo in tutto il mondo. I pazienti vengono curati con farmaci che curano i sintomi, ma che non alterano la progressione della malattia. Si punta invece su strategie comportamentali che frenino questo naturale declino. Gli studiosi hanno per la prima volta studiato l’effetto protettivo di esercizio fisico e attività intellettuale rispetto alla demenza senile.
In pazienti anziani inattivi che lamentano un certo declino intellettuale, una combinazione di esercizio fisico e attività mentale, svolti in maniera costante per circa 3 mesi, migliora le performance cerebrali dei soggetti osservati. I ricercatori hanno osservato anziano ultrasettantenni divisi in quattro diversi gruppi. Il primo svolgeva sia attività mentale, sotto forma di lavoro al computer, sia esercizio fisico aerobico; il secondo svolgeva attività mentale, ma non esercizio fisico; il terzo solo esercizio fisico intenso, mentre l’ultimo gruppo non svolgeva nessuna delle due attività.
E’ stato osservato che sia l’esercizio fisico sia l’attività mentale producono un aumento della funzione cognitiva e che più che il tipo di attività svolta, sono importanti la quantità e la frequenza dell’attività. Gli autori hanno dimostrato che stimolare l’attività, fisica o mentale, può migliorare le capacità cognitive in sole 12 settimane, anche nei soggetti più anziani che danno segno di difficoltà cognitive.
Ci resta da chiudere con un’amara riflessione: i nostri nonni e bisnonni vivevano l’ultima fase della loro vita a contatto con i nipoti e i pronipoti, nella classica famiglia patriarcale di un tempo; era un prezioso momento di trasmissione del loro bagaglio di esperienze ai più giovani che – in cambio – manteneva il loro cervello allenato anche nelle funzioni più nobili. Il nuovo modello familiare e sociale ha drasticamente ridotto tali proficui passaggi di testimone, acutizzando gli effetti del naturale declino connesso con l’invecchiamento. Il progresso non porta solo benefici.
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