A dimostrarlo sono proprio i recenti casi di cronaca nera. Antonella Sicomero, 10 anni, è deceduta a Palermo per asfissia da strangolamento con una cintura, probabilmente a causa di una sfida estrema sul social TikTok. Gli inquirenti continuano a indagare. Nel cellulare della bambina non è presente nessun video che la ritrae negli ultimi istanti della sua vita. Inoltre, vista la sua attività sui social, si è ipotizzato che la piccola volesse partecipare alla “Blackout challenge”, una sfida di resistenza all’asfissia, ma non è emerso nulla a riguardo. E se qualcuno l’avesse contattata per convincerla a fare una sfida, istigandola al suicidio? Questa l’ipotesi avanzata dal padre. Tutto resta ancora da chiarire in questa macabra vicenda, analoga a un’altra ancora più recente, protagonista un bambino di 9 anni di Bari ritrovato morto dalla propria madre con una cordicella stretta al collo, agganciata ad un attaccapanni. La procura sta verificando se ci siano collegamenti tra le due tragedie, riferimenti a sfide online, ma da una prima analisi effettuata sul cellulare della madre e della sorella e sulla Playstation non è emerso nulla di rilevante.
Ma non finisce qui. Nel brindisino, un’altra bambina ha rischiato di perdere la vita impiccata. Ha tentato di soffocarsi stringendosi un cappio intorno al collo nel bagno della scuola. Salvata in extremis dai compagni e dal tempestivo intervento delle maestre.
Bambini descritti come solari, spensierati, allegri. Qual è dunque il motivo che li ha spinti a compiere questo gesto estremo? Volevano forse emulare un gioco visto in rete? L’incidenza dei social è sempre maggiore. Confinati in casa, bambini e adolescenti trascorrono molto più tempo online a chattare su Whatsapp, a pubblicare “stories” su Instagram e video su Tiktok che li ritraggono intenti a cimentarsi nelle più disparate attività: balletti, “challenge”, sketch comici. Ciò ha sicuramente i suoi vantaggi: permette di divertirsi, di esplorare nuove identità, di accedere a comunità globali online con interessi condivisi. Tuttavia, le reti sociali ci espongono al resto del mondo e ad ogni tipo di contenuto, per questo è necessario vivere la socialità virtuale con coscienza. Non è facile per gli adulti e non lo è per i giovanissimi, che non possono fare a meno di immergersi in questo mondo, attratti dalla sua dimensione illusoria e dalle immagini distorte che esso fornisce, che consentono di allontanarsi da una realtà ritenuta,ora più che mai,monotona. Il web può essere un posto meraviglioso e utile se usato nel modo giusto, ma non è un parco giochi virtuale. Può rivelarsi pericoloso e insidioso,soprattutto per i più piccoli e ingenui che non tengono conto dei pericoli inimmaginabili che si celano dietro “app” usate quotidianamente: truffe, ricatti, condivisione ed esposizione a contenuti inappropriati, violazione della privacy e coercizione mentale. Basti pensare al caso di una bambina di 11 anni abusata nei bagni di un centro commerciale di Palermo da un giovane che aveva conosciuto su TikTok e con cui si scriveva su Instagram. Dal canto loro, i social stabiliscono dei limiti d’età, ma chi controlla i profili e la realtà dei dati? I genitori vietano davvero l’utilizzo di questi potenti strumenti prima dell’età prevista dalla norma vigente in Italia e dalla procedure dei social? Non nella maggior parte dei casi.
E se proprio questa generale mancanza di un’educazione digitale avesse determinato la morte di Antonella e Pietro? Se avessero pensato “Ma sì, cosa vuoi che succeda?! Non sarà poi così rischioso!”? L’impatto dei social non può essere sottovalutato o minimizzato, non se diventa la presunta causa di tali atrocità. Non può una sfida social sembrare così allettante da far perdere di vista l’immenso valore della vita e non possiamo pensare di colpevolizzare lo strumento o i genitori.
Tutti noi:bambini, adolescenti, genitori, anziani abbiamo bisogno di un’istruzione digitale che ci consenta di diventare digitalmente competenti, per poter tenere gli occhi aperti ed evitare i pericoli e per permetterci di separare il mondo reale da quello virtuale.
Quante morti dovremo ancora contare per capirlo?